Digital skills: le banche chiedono formazione
di Mattia, Schieppati
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9 Novembre 2017
Si chiamano "talenti digitali" e possono traghettare un'azienda attraverso la rivoluzione digitale. Una ricerca di Capgemini e Linkedin li ha misurati e ha messo in luce le loro esigenze: prima di tutto, apprendere nuove competenze. La banca è il settore più consapevole dell'importanza di colmare il digital gap ...
Customer-centricity. Passione per l’apprendimento. Collaborazione. Data-driven decision making. Capacità organizzativa. Capacità nel gestire l’incertezza. Mentalità imprenditoriale. Capacità di gestire il cambiamento. Segnatevele bene, inglesismi compresi, perché queste sono le 8 qualità d’oro che ogni lavoratore dovrebbe poter scrivere a caratteri cubitali nel proprio curriculum vitae. O, in alternativa, sono le 8 capacità che ogni azienda che desideri giocare a pieno titolo nell’epoca della trasformazione digitale dovrebbe saper individuare, premiare o essere in grado di “formare” nei propri dipendenti. Perché prima ancora della tecnologia profusa a piene mani, la rivoluzione digitale delle aziende sta nel capitale umano. Nella padronanza con cui tutti coloro che partecipano alla vita dell’azienda, senza distinzioni di ruolo o di livello, conoscono e sanno mettere a frutto quelle soft digital skills che ormai non possono più far parte del patrimonio culturale (prima ancora che professionale) di un professionista. E che distinguono un “talento digitale” da un ormai vecchio e superato travet.
Una doppia verifica con top manager e dipendenti
Questo l’assunto da cui prende spunto la ricerca realizzata da Capgemini e LinkedIn, dal titolo
The Digital Talent Gap. Are Company doing Enough? (
clicca qui)), che ha misurato attraverso
1.250 interviste a top manager e comuni dipendenti di aziende di
9 Paesi,
da un lato, il grado di diffusione del talento digitale e, dall’altro, lo sforzo che le aziende stanno mettendo in campo per valorizzare queste doti fondamentali. Con il top management è stato infatti misurato
il grado di consapevolezza sul “digital talent gap” presente all’interno della propria azienda; ai dipendenti è stato chiesto
quanto e come la loro azienda stia provvedendo nel fornire strumenti (formazione, aggiornamento, ecc) per colmare tale gap e quanto venga riconosciuta e premiata la padronanza di quelle soft skills necessarie a fare la differenza nell’epoca digitale. Una doppia verifica che ha messo in luce una discrepanza molto forte tra i due punti di vista, e in generale una insoddisfazione dei dipendenti rispetto alla capacità delle aziende sia di premiare chi all’interno ha già queste skills, sia di strutturare programmi di formazione capaci di trasmetterle.
Un problema di budget?
«Praticamente tutte le aziende confermano che le competenze digitali sono importanti, e che sono preoccupate dal “digital talent gap”. La nostra ricerca, mettendo a confronto quello che è il “pensiero aziendale”, attraverso le voci dei top manager e dei responsabili HR, e quello che è il percepito dei dipendenti, evidenzia come nonostante si parli molto di digital gap, poche aziende adottano politiche forti di formazioni per evitare che questo gap si allarghi sempre più», osservano i responsabili della ricerca, sottolineando come – nonostante la consapevolezza – i budget per la formazione digitale siano rimasti invariati o abbiano addirittura subito un calo in oltre la metà (52%) delle aziende. «La sfida di ridurre il digital talent gap non è un compito che riguarda le Risorse Umane, ma è un fenomeno che deve coinvolgere tutte le aree di business».
I risultati confermano che oltre la metà delle aziende intervistate (55%) sono consapevoli del fatto che al loro interno il digital talent gap si stia ampliando con il passare dei giorni, dei mesi, degli anni. È all’incirca la stessa percentuale (54%) conferma che questo gap sta cominciando a mettere a rischio il processo di digital transformation dell’azienda, compromettendone il vantaggio competitivo sul mercato. Analizzando i dati a livello di comparto, è proprio il settore bancario ad avvertire con maggiore preoccupazione la crescita di questo gap (62% delle banche intervistate; 58% delle assicurazioni). Una consapevolezza che è già un buon primo passo per agire, investendo da un lato sulla formazione, dall’altro sull’innesco di meccanismi interni per riconoscere e premiare chi è portatore di innovazione, a qualsiasi livello.
A caccia dell'azienda con la “digital vision”
Tornando al campione delle aziende nel suo complesso (dal Retail all’Automotive, dalle Telecom alla finanza), dalla ricerca emerge come più della metà dei digital talent lamenti l’inutilità dei programmi di formazione così come sono concepiti e proposti oggi; circa la metà descrive la formazione come «inutile e noiosa». Ma non c’è arrendevolezza: quasi il 60% degli intervistati, infatti, sta investendo il proprio tempo e il proprio denaro per acquisire personalmente competenze digitali, al di fuori di quelli che sono i percorsi di formazione aziendale. Un dato importante, su cui le aziende dovrebbero riflettere. Anche perché – diretta conseguenza – sia l’attenzione che l’azienda mette nella formazione digitale dei propri dipendenti, sia la capacità nel riconoscere e valorizzare all’interno i talenti digitali è un elemento decisivo della soddisfazione del personale, oltre che un attrattore (o meno) di nuovi talenti. Vale a dire, le aziende che sanno innescare tale meccanismo positivo di formazione di competenze sono anche quelle dove i “talenti digitali naturali” aspirano ad andare a lavorare. Allo stesso modo, i talenti digitali tendono ad abbandonare quelle aziende che non comprendono l’importanza di questo fattore. Il 55% dei digital talent intervistati dichiarano che sono pronti a cambiare immediatamente azienda se il loro attuale contesto lavorativo non dimostra di saper valorizzare al meglio tali skills, o dimostra «stagnazione» nell’implementazione della digital disruption. Sette lavoratori su dieci con competenze digitali (72%) preferiscono lavorare per società che hanno una cultura imprenditoriale che promuova agilità e flessibilità, come quelle che caratterizzano le start-up. «È molto improbabile infatti che le competenze digitali prosperino in un ambiente caratterizzato da mancanza di libertà di sperimentare e fallire», spiegano i ricercatori, «qualora non dovesse esistere una cultura basata sulla sperimentazione ne risentirà anche l’innovazione».