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07 Luglio 2025 / 00:02
 
Portincaso (Arsenale Bioyards): «Dal laboratorio all’impianto: la bioeconomia ha bisogno del credito per costruire una nuova industria»

 
Credito

Portincaso (Arsenale Bioyards): «Dal laboratorio all’impianto: la bioeconomia ha bisogno del credito per costruire una nuova industria»

di Flavio Padovan - 6 Luglio 2025
Per le startup la fase più critica è il passaggio dalla ricerca alla produzione. È la cosiddetta "valle della morte", il passaggio dal venture capital al credito tradizionale che blocca il 90% dei progetti. Per favorire la nascita di un'industria innovativa bio-based che supporti la transizione green è necessaria una nuova alleanza strategica tra sistema bancario, investitori istituzionali e imprese ad alto potenziale. Ne parla Massimo Portincaso, CEO e co-fondatore di Arsenale Bioyards
Nel mondo della biotecnologia industriale, Arsenale Bioyards è una delle realtà più avanzate e promettenti. Piattaforma integrata di bio-manufacturing, capace di coniugare fermentazione di precisione, intelligenza artificiale e ingegneria modulare, Arsenale ha da poco chiuso un primo round di finanziamento da 10 milioni di euro con il supporto di CDP Venture Capital e investitori internazionali. Ma, come spiega il CEO e co-fondatore Massimo Portincaso, le sfide non si fermano qui. Il vero nodo è quello dell'accesso al credito e al capitale industriale. Un tema globale, che però in Italia può trovare risposte concrete con il coinvolgimento delle banche e degli operatori istituzionali.

Portincaso, qual è la vostra missione con Arsenale?

Abbiamo fondato Arsenale per rispondere a un grande bisogno industriale. Il bio-manufacturing ha un potenziale economico da mille miliardi di dollari (leggi qui l'articolo: https://t.ly/4toDZ), ma oggi è frenato dalla mancanza di infrastrutture adatte. La nostra è una piattaforma abilitante: integriamo laboratorio e industria con una struttura tecnologica che rende scalabile la produzione biologica. Per farlo siamo partiti da Pordenone, dove esiste un ecosistema imprenditoriale straordinario, capace di "fare" in senso manifatturiero.

Quali applicazioni industriali state sviluppando?

Il nostro approccio è agnostico: tutto ciò che contiene un atomo di carbonio può teoricamente essere prodotto biologicamente. Parliamo di collagene, biosurfattanti, enzimi, proteine, vitamine, ingredienti funzionali... In sostanza, stiamo creando alternative sostenibili a molecole oggi prodotte con metodi petrolchimici o di origine animale. Tecnologie già note nel farmaceutico, come la fermentazione di precisione, le stiamo trasferendo su scala industriale e multi-settoriale.

A che punto siete con lo sviluppo?

Il primo stabilimento industriale sarà operativo tra la fine del 2026 e il 2027, sempre a Pordenone. Ne seguirà un secondo nel biennio 2028-2029. Per l'industria sono tempi rapidi. Ma il punto critico non è tanto l'ingegneria quanto il finanziamento. Serve un'architettura finanziaria che accompagni queste operazioni. Nei nostri piani, metteremo in campo almeno due miliardi di euro in impianti e tecnologie: sono investimenti che nessuna startup può sostenere da sola.

Avete trovato difficoltà a raccogliere capitale?

Nel primo round no: abbiamo chiuso un seed da 10 milioni di euro con investitori importanti, tra cui CDP Venture Capital, Planet A, byFounders e Plug and Play. È stato un segnale forte. Ma i numeri veri arrivano quando si deve passare agli impianti. Parliamo da 70 a 100 milioni per ciascuna linea produttiva. È qui che serve un sistema di supporto solido, integrato tra pubblico, privato e sistema bancario. Non è solo una questione aziendale, è un tema strategico per l'industria del Paese.

Dove sta il principale "collo di bottiglia"?

Nel passaggio dalla fase di ricerca alla costruzione industriale. È la famosa "valle della morte": la fase in cui si esaurisce il capitale di rischio e non si è ancora in grado di accedere al credito tradizionale. Dopo il primo impianto diventa tutto più semplice: si generano flussi di cassa, si abbassa il rischio percepito. Ma costruire quel primo impianto resta l'anello debole.

È un tema solo italiano?

No, è una sfida globale, riguarda tutti i Paesi. Ma in Italia abbiamo l'opportunità di fare un "salto diretto" e adottare soluzioni innovative più rapidamente. Il nostro tessuto industriale, l'esperienza nella manifattura, la presenza di competenze e infrastrutture logistiche possono renderci un hub europeo della bioeconomia. Ma servono capitali pazienti, strumenti su misura, co-investimenti pubblico-privati. E serve il contributo delle banche, anche in chiave di finanza di transizione e impact investing.

È un invito al dialogo?

Assolutamente sì. Le banche possono giocare un ruolo cruciale nel costruire la nuova manifattura bio-based. Non si tratta di digitalizzare l'esistente, ma di creare nuove industrie. E questo non si fa senza capitale. Noi siamo pronti a condividere dati, progetti, strategie industriali. Quello che ci tiene svegli la notte è proprio questo: trovare il modo per mettere in piedi infrastrutture nuove, in tempi brevi. Perché la transizione non aspetta.
 
 
Crediti: immagini tratte dal sito https://arsenale.bio/
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