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19 Aprile 2024 / 10:49
Dati, software e algoritmi: l’open source che fa bene a tutti

 
Scenari

Dati, software e algoritmi: l’open source che fa bene a tutti

di Massimo Cerofolini - 16 Febbraio 2023
Che forme prenderanno internet e le tecnologie digitali? Se ne parla alla conferenza internazionale State of open. Dai vantaggi dell’adozione di sistemi aperti alle necessità di trovare modelli economicamente sostenibili. E il mondo finanziario è già pronto per il cambiamento. Il parere degli esperti
Protocolli o piattaforme? Dati aperti o chiusi? Software libero o proprietario? Che direzione prenderà internet da qui ai prossimi anni? Su queste domande si consuma un confronto planetario le cui risposte sono molto più complesse di quanto possano apparire.
Il modello imperante, quello del cosiddetto web 2.0, in cui poche compagnie americane e cinesi si spartiscono il grosso della torta pubblicitaria, sembra sulla via del tramonto. Almeno nelle caratteristiche con cui si è velocemente affermato da inizio secolo. Non piace all’Unione europea, che ha messo in pista diverse direttive per favorire la concorrenza nella rete, non piace a Washington e Pechino, ora ostili ai monopoli privati che pure impinguano il loro prodotto interno lordo, non piace neppure agli investitori, che negli ultimi mesi hanno affondato il valore delle big tech in borsa.
Un esempio semplice per capire la posta in gioco: da una parte il protocollo interoperabile delle email, pensato dai primi sviluppatori del web, che permette lo scambio di messaggi a prescindere dal provider scelto per il proprio indirizzo elettronico; dall’altra le piattaforme dei maggiori social network, senza punti di contatto reciproci, ciascuna con il proprio carosello di servizi – spesso accattivanti, utili e gratuiti - per attrarre e tenere gli utenti dentro il proprio recinto, in modo da utilizzarne i dati. Due visioni del web profondamente diverse.
E dunque? È possibile immaginare un web più aperto, un ritorno all’idea della rete universale immaginata dai pionieri? Carla Gaggini, manager sarda da oltre dieci anni a Londra, è l’ambasciatrice di OpenUk, l’associazione britannica che in questi giorni organizza nella capitale inglese la conferenza internazionale State of open: “Promuovere l’apertura di dati, software e algoritmi - spiega - è oggi più che mai importante. L’open source in generale è uno dei principi più ammirevoli nel campo tecnologico perché stimola la collaborazione tra ingegneri e sviluppatori di tutto il mondo, sia pubblici che privati, al fine di migliorare i progetti digitali. Questo significa che l’intera società può beneficiarne”.
Gli esempi di open source li conosciamo o li abbiamo usati più o meno tutti: il browser di Firefox per navigare su internet, il software Vlc per aprire un video, quello di Audacity per il montaggio audio e via dicendo.  Tutti programmi nati nel tempo libero di tante persone, senza fini di lucro, e ora patrimonio di chi è online. Con una serie di vantaggi collettivi, come la capacità di correggere, personalizzare, rendere più sicure e aggiornare le soluzioni, oltre a mettere strumenti efficaci a disposizione anche di piccole e medie imprese. Il modello funziona così bene che anche i grandi del web lo utilizzano a piene mani per lo sviluppo dei loro progetti. È open source – tanto per dire - il sistema operativo di Google, Android, che governa la maggioranza dei cellulari nel mondo. Così come open source è il sistema di intelligenza artificiale più celebre del momento, ChatGpt, capace di conversare in linguaggio naturale con gli umani e di rispondere a tono su qualsiasi argomento: parte del merito dei suoi risultati strabilianti spetta a milioni di utenti che lo stanno testando e correggendo gratuitamente.
“Il problema – commenta Gaggini – è che prima si rodano i programmi aprendoli alla massa e poi, quando questi sono stabili, si cambiano le licenze d’uso: si tiene una parte basilare gratuita e si fa pagare tutto il resto. È il grande paradosso del fenomeno: tanti progetti nascono open per poi finire inglobati e comprati dai giganti della tecnologia, perché alla fine diventa difficile sostenere questi progetti se manca un modello finanziario efficiente. Persino Twitter, ora che è passato a Elon Musk, ha introdotti abbonamenti premium per ripagarsi dell’investimento”.
E la stessa Microsoft, che detiene i diritti commerciali di ChatGpt, ha già varato negli Usa la versione Plus da 20 dollari al mese, che garantisce il servizio anche nei momenti di intenso traffico oltre ad altri vantaggi particolari. Del resto ogni richiesta che milioni di utenti fanno a questo algoritmo dal sapore magico costa da 1 a 9 centesimi. E in mancanza di rientri pubblicitari, come accade con Google, qualcuno deve pur pagare le bollette. Giusto in linea di principio, ma dove mettere un limite a pratiche potenzialmente scorrette? “Il punto – continua Gaggini – è che servono leggi per regolare in modo trasparente questi passaggi dalla fase di test a quella commerciale. E serve una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica”.
Ancora una volta la sfida è sull’utilizzo dei dati. Come metterli al servizio della comunità o delle stesse imprese? Pensiamo a tutte quelle informazioni che spesso restano relegate negli archivi delle aziende private o degli uffici pubblici. Dice Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la sostenibilità digitale: “Se messe a disposizione della comunità possono diventare una garanzia di trasparenza e una risorsa preziosa per sviluppare iniziative imprenditoriali o servizi al cittadino: app per migliorare i trasporti, analisi predittive per il lancio di un prodotto o di un servizio, gestione dei servizi ospedalieri, potenziamento della ricerca scientifica e tanto altro ancora”.
Attenzione: non è che tutto ciò che è aperto è bello e tutto ciò che è chiuso è brutto. “Non sono dimensioni in contraddizione – assicura Epifani – e spesso l’errore è quello di assumere una dimensione troppo ideologica e manichea: con i fanatici dell’open source da una parte e dall’altra le grandi aziende che lo usano nella fase iniziale e poi chiudono i rubinetti quando fa loro comodo. Non è così. In realtà dobbiamo di volta in volta capire qual è il giusto grado di equilibrio tra apertura e chiusura. Dobbiamo difendere il cuore aperto di questi software ma con la capacità di costruirci sopra modelli sostenibili e dunque redditizi”.
Faro di questo mondo aperto resta comunque Wikipedia, la più letta enciclopedia del mondo, basata sul lavoro di migliaia di volontari e finanziata dalle sottoscrizioni degli utenti. Maurizio Codogno è il portavoce di Wikimedia Italia, l’associazione che promuove Wikipedia: “In italiano abbiamo oltre 2 milioni di utenti registrati, un milione e 800 mila voci, di cui quasi un quinto non presente nelle altre versioni linguistiche. Nel mondo siamo arrivati a 300 mila volontari attivi che lavorano ogni mese, 300 versioni linguistiche e 345 modifiche valide al minuto”. Modello popolarissimo, ma con svariati casi di inattendibilità. Che gli stessi attivisti non hanno mai negato. “Attenzione – precisa Codogno - se a una voce mancano le fonti, siamo i primi a mettere le mani avanti. Lo diciamo chiaramente: non possiamo dare informazioni assolutamente vere, al massimo diamo informazioni referenziate”.
Tanti punti di vista, dunque, ad arricchire il dibattito sulle future dinamiche della rete, alla luce anche di nuovi attori che puntano sugli algoritmi generativi di intelligenza artificiale come ChatGpt o, sia pure con minore convinzione di un anno fa, sul cosiddetto web3, l’internet disintermediato connesso in un certo senso ai temi del metaverso, dei videogiochi immersivi, della blockchain e delle criptovalute. Qualunque sia la strada che verrà presa c’è da dire che il mondo finanziario si ritrova una muscolatura già ben definita. Commenta Epifani: “Normative come la Psd2 hanno dato una forte spinta all’interoperabilità dei soggetti bancari con forme di apertura a cui gli utenti sono ormai avvezzi. Dalla possibilità di centralizzare conti correnti diversi dentro un’unica app al mantenimento dell’Iban anche cambiando istituto, come avviene per il numero di cellulare. L’open finance è un fenomeno che sta portando competitività ed efficienza in tutto il comparto, con forme di collaborazione persino tra soggetti in concorrenza tra loro che unendosi sviluppano progetti più evoluti. Se c’è un mondo che non deve temere la cultura open è quello della finanza”.
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