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28 Marzo 2024 / 22:58
Quando l'arte incontra gli algoritmi, a Londra la mostra "AI: più che umani"

 
Scenari

Quando l'arte incontra gli algoritmi, a Londra la mostra "AI: più che umani"

di Massimo Cerofolini - 2 Agosto 2019
Le nuove frontiere dell’interazione tra uomo e macchina in una mostra che racconta gli sviluppi creativi delle intelligenze artificiali e il loro potenziale dirompente. “L’AI è destinata a permeare sempre più le nostre vite e tenderà a fondersi con altre discipline della scienza, cambiando la nostra idea di cos’è naturale”, spiega Anna Holsgrove, una delle curatrici della mostra, che apre anche agli scenari futuri, dove si passerà dall'artificial intelligence all'artificial life  …
(foto in alto tratta dalla mostra "AI More than Human"  - Co(AI)xistence, Justine Emard.jpg,  da Anna Dabrowski SciFi - Pre-Installation Shots)
 C’è Neri Oxman, designer del Media Lab al Mit di Boston, che esplora le possibilità creative delle intelligenze artificiali e della stampa 3D. O Mario Klingermann, con l’opera Circuit Training, che invita i visitatori a far parte del processo di addestramento di una rete neurale. Per non parlare dei Massive Attack, il celebre gruppo rock inglese, che festeggia il ventesimo anniversario dell’album Mezzanine con una versione del disco in formato bomboletta spray, in cui la musica è trasferita dentro stringhe di Dna sintentico. Fino al 26 agosto alla Barbican Art Gallery di Londra è in corso Ai: More than Human, la mostra dedicata ai rapporti esseri umani e intelligenze artificiali, sempre più presenti in ogni ambito delle nostre vite, inclusi ovviamente quello delle banche, delle assicurazioni e della finanza. Siamo andati a vederla e ne abbiamo parlato con una delle curatrici, Anna Holsgrove.

Qual è l’obiettivo della mostra?

ll nostro obiettivo è tentare di comprendere il significato e la vita degli esseri umani in un mondo in cui la tecnologia controlla e definisce ogni aspetto delle nostre esistenze. E di farlo a partire dagli sviluppi creativi delle intelligenze artificiali per scoprire il loro potenziale dirompente. La presenza degli algoritmi è ormai ovunque e, nello stesso tempo, in nessun luogo, perché è spesso difficile da vedere. E di fatto pone continuamente una serie di domande. Ad esempio: dove finiamo noi e dove cominciano le macchine? Ecco, i nostri artisti provano a fornire qualche risposta.

La mostra racconta passato, presente e futuro di questo sogno di riprodurre artificialmente il dono dell’intelligenza umana. A cominciare dalle sue radici più lontane nel tempo.

La mostra comincia proprio con questo desiderio antico di dare vita a cose senza vita, attraverso le più svariate forme, come la magia o la religione. Ecco allora le testimonianze dalle tradizioni shintoiste del Giappone, che cercano l’anima nelle forme della natura. O ebraiche, con la figura antropomorfa del golem, che ha influenzato opere come Frankestein o Blade Runner. O l’alchimia araba e i primi sviluppi della matematica nelle epoche antiche.

Poi si passa all’epoca più recente che prepara il salto a cui assistiamo oggi.     

L’antica aspirazione di riprodurre i meccanismi del cervello attraverso la tecnologia ha il suo grande momento a cavallo tra il 19mo e il 20mo secolo. In particolare negli anni intorno al 1940 l’approccio non si accontenta soltanto di decodificare la mente, ma punta a imitarla. La mostra mette in risalto i pionieri di questa avventura che porterà alla produzione dei primi computer: Ada Lovelace e Charles Babbage, per esempio, o Alan Turing, con una copia della famosa macchina con cui decifrò i codici nazisti di Enigma. Venendo a tempi più vicini ai nostri, abbiamo le immagini delle sfide con cui le macchine hanno battuto i campioni umani negli scacchi, nel gioco televisivo Jeopardy! o in quello tradizionale cinese di Go.

E così entriamo nella nostra era, quella delle reti neurali, che nella mostra è illustrata mescolando ricerche di scienziati e lavori di artisti.

Copiando i neuroni cerebrali, diventa possibile sviluppare la prima rete neurale, un software capace di migliorarsi da solo nel tempo. La tecnologia è così in grado di apprendere in autonomia, correggersi, trovare soluzioni e può sorprenderci con la sua apparente creatività o con la sua capacità di vedere, sentire e muoversi. Ad esempio, facciamo vedere un progetto del Mit con un pesce robotico che può nuotare senza controllo umano insieme ad altri pesci. O il robot cucciolo di cane che reagisce con le emozioni ai nostri stimoli. O anche un’opera di Alexander Mordvintsev che usa le reti neurali per creare sequenze di immagini: assegnando livelli diversi di intensità, si generano video psichedelici ogni volta originali.

Molte opere in mostra, come Your Data Faceprint di Nexus Studios, riflettono sui pericoli di questa rivoluzione.

Sì, la mostra indaga sui possibili rischi connessi con le intelligenze artificiali. Ad esempio, ci sono artisti che denunciano il pericolo che i pregiudizi dei programmatori producano macchine capaci di discriminare soggetti come le donne o le persone di colore. Oppure i rischi legati alla nostra privacy, minacciata dall’intrusione degli algoritmi che ci profilano a nostra insaputa. E ancora domande in attese di risposta, come “chi risponde in caso di errori dell’intelligenza artificiale?”.

Nella parte centrale, molte opere portano alle estreme conseguenze, come è giusto che faccia l’arte, i risultati della società digitale: si indaga sul cambiamento che investe il commercio, la società, la salute, la finanza e le nostre vite personali.

Oggi le intelligenze artificiati sono usate in ogni istante della nostra vita, dando nuove forme agli spazi pubblici e privati, sia attraverso il consumo di informazioni che facciamo su Internet e sui social network, sia  tramite i prodotti che compriamo. Siamo consapevoli soltanto di alcune delle manifestazioni di questi algoritmi, altre sono fuori dalla nostra vita, immerse in un sistema globale così complesso che è di fatto impossibile comprenderlo fino in fondo. Nella sezione della mostra chiamata Data Worlds, mettiamo una lente su questa realtà scoprendo il lavoro nascosto delle tecnologie: talvolta esaltante, talvolta disturbante. Ecco per esempio un artista che dimostra come gli algoritmi possono migliorare la sicurezza nelle strade, attraverso la macchina da corsa che si usa nelle sale dei videogame, con una videocamera che intercetta le reazioni emotive degli utenti nelle diverse situazione di guida.

L’ultima parte della mostra si proietta nel futuro. Come evolve l’era delle macchine secondo gli artisti che avete chiamato?

L’intelligenza artificiale è destinata a permeare sempre più le nostre vite e tenderà a fondersi con altre discipline della scienza, cambiando la nostra idea di cos’è “naturale”.  Mentre l’AI (artificial intelligence) emula il comportamento del cervello, la nuova area di ricerca (AL, artificial life) allarga il suo campo alla biologia umana e animale, oltre che alle scienze ambientali. Questo ci offre la possibilità di migliorare i nostri corpi, sradicare malattie, produrre nuovi tipi di cibo più sostenibili e persino di aumentare l’età media della nostra vita. È possibile immaginare sia un nuovo futuro per la nostra specie sia la creazione di nuove specie. In questo scenario, la vita organica è un processo in espansione: le nostre forme non sono più fissate dalla nascita. Ma cambiano. Cambiano le parti di un nuovo corpo, i nuovi ambienti della vita, entrano in scena nuove creature: è chiaro, ci dicono artisti presenti nella mostra come Robert del Naja o scienziati come Hiroshi Ishiguro, che il nostro mondo è ormai dentro un’evoluzione senza fine.
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