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18 Aprile 2024 / 03:27
Persone e brand: è corsa al metaverso

 
Scenari

Persone e brand: è corsa al metaverso

di Massimo Cerofolini - 24 Marzo 2022
Da Facebook a Microsoft, vecchi e nuovi protagonisti del web investono miliardi nella creazione dell’universo virtuale su cui potremo muoverci, fare amicizie, acquistare abiti o case, assistere a un concerto. Tra entusiasmi forse eccessivi e qualche dubbio realistico. Come quello del filosofo Luciano Floridi, che abbiamo sentito...
Nessuno al momento può dire con certezza che forma prenderà. Se sarà un luogo in cui entreremo con visori che ci isolano da tutto il resto, se si mescolerà alla vita quotidiana attraverso occhiali speciali di realtà aumentata, se ne godremo semplicemente con lo schermo del pc o del cellulare, se un misto di tutto questo o se finirà nell’oblio come il precedente inglorioso di Second Life.
Di certo ci sono le girandole di investimenti che grandi e piccoli padroni della tecnologia globale hanno puntato su una parola, sconosciuta ai più fino a poco tempo fa e ora lente imprescindibile per scrutare lo spirito dei tempi: metaverso. A cercare una definizione, si tratta di un termine coniato 30 anni fa da Neal Stephenson che, nel suo libro di fantascienza cyberpunk Snow Crash, lo descriveva come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Grazie a questo doppio digitale ci possiamo spostare, vestire abiti firmati, incontrare persone, ascoltare concerti, dormire in camere d’albergo tanto esclusive quanto immaginarie, comprare oggetti, quadri o terreni che non esistono, ma di cui farne sfoggio appunto in una dimensione parallela.
Prima di definire tutto ciò una follia, una forma di alienazione poco sana, fermiamoci un attimo sulle cubature che sta assumendo il fenomeno. Giusto per avere una misura a spanne, Bloomberg calcola che nel 2024 il giro d’affari legato al metaverso salirà a 800 miliardi di dollari e che entro fine decennio raggiungerà un miliardo di utenti. Basta questo a non liquidare la cosa come moda passeggera?
Un piccolo passo indietro. Tutto è deflagrato a metà ottobre 2021, quando Mark Zuckerberg annunciando il rebranding di Facebook in Meta apriva appunto le danze definendo il metaverso come “il prossimo capitolo di internet”. Se finora cioè navigare online significa riempire un rettangolino dello schermo con testi, foto e video, nel nuovo pianeta digitale saremo noi stessi, col nostro gemello fatto di pixel, a entrare e interagire in ambienti simili alla vita reale.
Sono varie le ragioni per cui Facebook è scattata per prima. La più evidente è un diversivo per schivare le accuse che la investono da tempo: diffondere contenuti offensivi e notizie false, violare i dati personali e creare un monopolio sulla rete. La seconda è puramente commerciale: bruciata dalla concorrenza dell’app cinese di TikTok, snobbata dai giovanissimi e dagli investitori (con un crollo in Borsa di circa un quarto del valore), Meta punta almeno al recupero primeggiando con un proprio hardware, al pari degli storici rivali di Apple e Google, rispettivamente proprietari dei sistemi iOS e Android, tramite cui governano l’impero dei cellulari.
Ecco allora la spinta di Zuckerberg su un dispositivo proprietario come il visore Oculus, oggi in vendita a 349 euro (ne sono stati piazzati circa 10 milioni). Ecco l’accordo con Ray-Ban per lanciare gli smart glasses, occhiali dotati di lenti per sovrapporre al mondo reale informazioni in realtà aumentata. Ecco la creazione di uno spazio specializzato in contenuti 3D, Horizon Workrooms (dove già si registrano fenomeni di bullismo virtuale, accanto a maldestri incidenti domestici e rotture accidentali di vasi e oggetti reali). Ecco l’investimento da 10 miliardi di dollari e 10 mila dipendenti (specie assunti in Europa) per dare corpo al futuro del metaverso. O lo sviluppo di Rsc, l’elaboratore di intelligenza artificiale più potente al mondo, destinato proprio ad analizzare dati e profili del nuovo mondo parallelo.
Al principe di Menlo Park si sono presto accodati gli altri big del digitale. Apple ha subito presentato un suo visore, con il consueto design una spanna sopra gli altri (previsioni 22 milioni di pezzi venduti entro il 2030, fonte Wall Street Journal). Microsoft, invece, ha firmato la più grande acquisizione della sua storia, spendendo 69 miliardi di dollari per comprare Activision Bizzard, azienda titolare di titoli ultra popolari nel campo del gaming, come Call of duty o Candy Crush. Una mossa strategica, quella del colosso fondato da Bill Gates, con cui mettere le mani sulla chiave più preziosa per varcare la porta del metaverso: i videogiochi, appunto.
Se già oggi possiamo avere un’idea sul tipo di esperienza dentro l’universo virtuale, lo dobbiamo infatti a un nome come Fortnite, 350 milioni di utenti che, oltre a misurarsi su sfide tradizionali, possono tranquillamente fermarsi a comprare qualcosa nei negozi digitali, stringere amicizie o ascoltare musica (il concerto più seguito della storia non è Woodstock, ma quello di Travis Scott sul palco di Fortnite con 27 milioni di spettatori). Ma chi ha figli adolescenti avrà sicuramente sentito parlare di mondi telematici simili alle costruzioni Lego, come Minecraft (che è di Microsoft) o Roblox, quotata in Borsa nel 2021, 47 milioni di giocatori, età media 13 anni, già avvezzi a commerciare tra loro, e con soldi veri, draghi e animaletti immaginari.
È, quello della giovane età, un elemento chiave per guardare con interesse al metaverso. Si tratta infatti di generazioni abituate da sempre agli ambienti immersivi, capaci di pagare in criptovalute, perfettamente a loro agio in qualcosa che per i genitori è evanescente e che per loro è spesso più reale del reale. Se ne sono accorti per primi i marchi della moda.
Nike ha creato su Roblox un universo chiamato Nikeland (115 milioni di utenti al mese), Adidas vende certificati digitali in Nft su OpenSea abbinati al vestiario fisico. Gucci e Balenciaga hanno aperto negozi virtuali su Fortnite. Ma non solo. Anche AirBnb sta immaginando l’affitto di case sul metaverso. Mentre, oltre all’arrembaggio dei big tecnologici cinesi, si segnalano i progetti virtuali di Ferrari, Bmw e Boeing (dove si testano i velivoli prima di metterli in pista). Anche le pubbliche amministrazioni poi si adeguano ai tempi: Seul ha appena annunciato che entro il 2023 ci sarà un gemello digitale della città sul metaverso (dove i cittadini possono prendere appuntamenti con la burocrazia o presentare denunce e petizioni). In partita anche altri giganti del calibro di Amazon, Google e Nvidia.
Insomma un panorama che si arricchisce ogni giorno di nuovi protagonisti e che sta diventando persino una facile scorciatoia per ridare smalto a servizi di vecchio tipo: sugli store si contano almeno 550 app che hanno in qualche modo appiccicato il termine metaverso al loro prodotto. Due, però, sono i nomi da tenere seriamente in considerazione, The Sandbox e Decentraland. I quali, meglio di altri, sposano la filosofia del web 3, il web decentralizzato, ossia la terza incarnazione di internet, dopo quella della lettura passiva di contenuti  (il web 1 degli anni Novanta) e quella delle interazioni e dei social network (il web 2.0 dagli anni Duemila a oggi): sono infatti piattaforme di metaverso basate su blockchain, mondi virtuali cioè che - sostengono i fautori – “appartengono agli utenti”. In pratica non hanno un vero e proprio proprietario come nel caso di Facebook, ma attribuiscono a ciascun partecipante diritto di voto su ogni decisione, con la possibilità di trafficare con criptovalute, ricevere compensi per ogni attività svolta, mantenendo un’identità digitale (con tanto di vestiti e beni personali) che rimane tale anche muovendosi da un metaverso all’altro.
Intenti quasi utopistici, ma che celano affari estremamente concreti. Fantasy Island, per esempio, un arcipelago con acque cristalline presente su The Sandbox, ha avviato una lottizzazione edilizia con vendite da 100 mila dollari a isolotto (tra questi c'è il centrocampista della nazionale di calcio e del Paris Saint-Germain, Marco Verratti). Mentre Decentraland ha in catalogo svariati terreni, sale giochi, villaggi turisti, teatri e centri commerciali. Tutti richiestissimi. Anche qui i brand non stanno a guardare: Carrefour, per dire, ha acquistato 36 ettari virtuali in cui organizzare eventi e lanciare i suoi nuovi prodotti.
E ora, che previsioni fare? Abbiamo chiesto un parere a Luciano Floridi, docente di Filosofia e di etica delle tecnologie alle università di Oxford e di Bologna: «Ricordo che quindici anni fa la stessa eccitazione l’aveva accesa Second Life, sia pure con una grafica più rudimentale di quelle disponibili oggi e una rete molto meno potente. Il concetto era simile a quello del metaverso: ricordo che molte università e campus di tutto il mondo aprivano le loro sedi in quell’universo virtuale. Poi il nulla, ce ne siamo dimenticati velocemente. Certo, oggi le cose sono molto cambiate, ci sono gli Nft e le criptovalute a dare robustezza al metaverso. Ma resta sempre lo stesso limite: in tutte le realtà virtuali i sensi coinvolti sono due, vista e udito, al massimo tre, se aggiungiamo il tatto grazie ai guanti speciali che simulano la pressione degli oggetti sulle dita. Gusto e olfatto restano fuori. Come dire che nel migliore dei casi il metaverso segna tre reti e la vita cinque. Non sarà, penso, un successo generalizzato. Più probabile che prenderà piede in settori specifici, come l’istruzione, l’addestramento militare, la medicina o i giochi».
Vedremo, dunque. In fondo, quando immaginò per primo il web, neppure Tim Berners-Lee aveva la più pallida idea di quello che poi la sua creatura sarebbe diventata.
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