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28 Marzo 2024 / 17:27
Per le banche è il momento dell’artificiale intelligente

 
Banca

Per le banche è il momento dell’artificiale intelligente

di Massimo Cerofolini - 5 Maggio 2021
Sempre più istituti fanno uso di algoritmi evoluti per conoscere a fondo la clientela, comunicare e organizzare il lavoro interno. E da questione per informatici, il dato diventa valore prioritario del business. Ma dal mondo tech arriva il monito: «Attenzione a scegliere soluzioni aperte o si rischia di pagare per accedere ai propri stessi archivi». Il tema è stato al centro dell’ultimo Innovation Workshop di Bancaforte (rivedilo qui), promosso da Dell Technologies e VMware con la partecipazione di Widiba, Mediolanum e Gruppo Sella. Un confronto aperto, supportato da importante case history, su alcuni dei grandi temi dell’innovazione in banca
I dati, si sa, sono il nuovo petrolio. E quelli in possesso delle banche, oltre che tanti, sono anche preziosissimi per potenziare la qualità dei servizi alla clientela e l’organizzazione interna. Come il petrolio però i dati non cascano dal cielo. Vanno cercati, identificati, estratti, raffinati. E le cose qui si complicano. Perché molte delle informazioni nei pozzi delle aziende finanziarie non sono nate per girare dentro i moderni algoritmi d’intelligenza artificiale. Sono fonti frammentate, disomogenee, duplicate, vecchie in qualche caso di decenni, sommerse sotto software e data base che non comunicano tra loro. E allora? Come trasformare questi dati nel nuovo carburante? È per rispondere a questa esigenza che entrano in gioco le tecnologie di machine learning.
Per capire gli sviluppi di questa tecnologia, Bancaforte lo scorso 26 aprile ha organizzato l’Innovation Workshop dal titolo
 
Business innovation e trasformazione applicativa nel banking: l’importanza del dato
, mettendo insieme alcuni protagonisti di questo processo: da una parte due aziende leader nel mondo IT, Dell Technologies e VMware, dall’altra tre istituti, Banca Mediolanum, Banca Widiba e Sella Group, che hanno in comune una forte carica innovativa unita a radici antiche sempre contrassegnate da uno sguardo sul futuro.
«Le nuove banche», inquadra la tematica Silvia Attanasio, responsabile innovazione di ABI, «hanno il beneficio di poter costruire il proprio impianto informativo a partire da zero, senza necessità di preservare sistemi che si sono stratificati nel tempo assecondando più volte le innovazioni delle diverse fasi. Questo foglio bianco offre ovviamente una grande libertà di azione ma è comunque limitato dalla cornice di regole di tutela del consumatore che tutti gli attori del mondo finanziario devono rispettare. D’altra parte, gli istituti più tradizionali hanno quantità maggiori di dati ma si scontrano con la difficoltà di far saltare sui software di ultima generazione applicativi vecchi magari di 40 anni. Occorre allora lavorare per creare standard comuni, eliminare le ridondanze e i disallineamenti dei dati, facendo in definitiva pulizia di tutto ciò che, anziché avvantaggiare i processi, finisce per rallentarli».
Il mercato in generale - compreso quello bancario - guarda sempre con maggiore attenzione alle potenzialità delle nuove tecnologie. Afferma Michele Santulin, sr. sales director per il settore bancario di Dell Technologies Italia: «L’adozione di questi sistemi è partita in modo graduale ma con una crescita costante. Oggi la maggior parte degli algoritmi a disposizione sono ancora supervisionati dagli informatici e richiedono frequenti interventi manuali. Ma l’emergere di programmi non supervisionati, quindi in grado di identificare i dati autonomamente, metterà le ali al settore. Nel giro di un paio d’anni prevedo una forte accelerazione in tal senso». «Le banche», incalza Giulio Barki, direttore Enterprise di WMware, «ci chiedono aiuto proprio per intervenire sui loro sistemi, che sono molteplici e complessi. Non sempre l’infrastruttura è pronta ad abbandonare la vecchia logica dei silos. Di conseguenza la nostra risposta varia a seconda delle circostanze: a volte lasciamo gli applicativi come sono, altre li ammoderniamo, altre ancora li ripensiamo da zero». 

Banca Mediolanum: applicazioni concrete

Ma che valore danno oggi le banche ai dati? Demetrio Migliorati è il capo innovazione di Banca Mediolanum, di fatto la prima fintech italiana, con la scelta di eliminare gli sportelli già dal 1997 (in mancanza di internet si operava su Televideo), e oggi in prima linea sui temi della sostenibilità e dell’offerta alle nuove generazioni: «Per noi significa passare dalle scelte basate sulle opinioni soggettive alle analisi di calcoli accurati. La costruzione di algoritmi efficienti ci ha permesso di lanciare prodotti come Selfie o Flowe capaci di conquistare in breve tempo migliaia di giovani abituati a organizzare la propria vita sul cellulare. Ma le nostre applicazioni dei dati sono tantissime. Pensiamo a come si possono ridisegnare i cluster degli utenti: non più secondo i criteri tradizionali, quelli socio-demografici come età e sesso, ma cercando i comportamenti individuali che raccontano molto meglio le caratteristiche di una persona in un determinato momento della sua vita. Anche sulla valutazione del rischio, grazie alla collaborazione con Yelds, abbiamo creato un sistema che processa migliaia di valori in pochi giorni, rispetto ai 16 valori precedenti che richiedevano mesi di tempo per una risposta. E ancora: grazie ai dati possiamo creare documenti coerenti con la normativa bancaria in pochi istanti, possiamo lanciare chatbot con linguaggio naturale che, nel caso di Flowe, consentono di risolvere 86 istanze su cento in autonomia, possiamo anticipare i reclami della clientela e sciogliere in anticipo eventuali problematiche».

Gruppo Sella: un cambio di mentalità

Anche il Gruppo Sella guarda con interesse all’innovazione digitale. Negli anni Novanta ha espresso la prima banca online, il primo conto online, la prima operazione di e-commerce e il primo tranding online. E oggi è all’avanguardia con progetti come Hype e l’apertura alle criptovalute o con le esperienze collaborative del Fintech District e di Fabric (dove è stata appena lanciata una challenge sui big data a cui hanno preso parte una cinquantina di startup). «Per noi», dice Andrew Vasko, group chief transformation officer di Gruppo Sella, «la questione è prima di tutto un cambio di mentalità. Il nostro sforzo è muoverci verso un ecosistema dei dati, cercando sempre maggiori connessioni tra questi. Nei prossimi anni i maggiori concorrenti delle banche non saranno altre banche, ma le grandi compagnie tecnologiche come Apple, Amazon, Facebook o Google, che da sempre integrano le informazioni che hanno sui nostri comportamenti. E che, sulla base di ciò che abbiamo fatto, possono predire ciò che faremo. Il dato per loro è un asset centrale, con un valore strategico decisivo. Ecco, se vogliamo competere con questi giganti, anche noi banche dobbiamo considerare il dato come un asset di valore primario. E dunque, non più solo un problema del reparto informatico, ma un aspetto centrale del business». Altra linea su cui muoversi, secondo Vasko, è quella normativa: «Il grosso delle norme bancarie sono state scritte nello scorso secolo. Occorre lavorare con i regolatori, come alcune banche e diverse aziende tecnologiche stanno già facendo, per disciplinare un uso sicuro e responsabile dei dati, come quelli sui comportamenti della clientela».

Widiba: il valore dell'oggettività

Altro istituto che ha scommesso molto sull’intelligenza artificiale è Banca Widiba, che poggia sulle fondamenta del Monte dei Paschi di Siena, come dire la più antica startup finanziaria del mondo con oltre cinque secoli di storia. Spiega Daniela Pivato, direttrice It e innovazione digitale: «Per noi guardare ai dati significa affidare le decisioni a statistiche oggettive e non, come accade spesso, alle mosse dei concorrenti o agli umori dei manager. Siamo una banca giovane, nata nel 2013, e abbiamo avuto la fortuna di disegnare l’impianto dei dati quasi da zero. In più abbiamo trivellato i dati nelle profondità del Monte Paschi. Oggi operiamo grazie a una piattaforma basata su un enorme magazzino di dati, e di strumenti di conoscenza del dato, che fa evolvere la banca e che si muove in tre direzioni: una per i clienti, una per i consulenti e una per i dipendenti. Tutti i dati immagazzinati sono fruibili attraverso varie piattaforme e servono soprattutto per osservare il dato del passato. E sulla base di questo per innescare delle azioni correttive o di miglioramento del servizio. Inoltre i dati che gestiamo non sono solo di tipo patrimoniale o socio-economico, ma includono anche le informazioni sull’antiriciclaggio, il merito di credito o la cyber security».
La prossima frontiera, per Banca Widiba, è la previsione del futuro: analizzare le probabilità di accadimento di un evento o di propensione all’acquisto. «In modo di automatizzare, almeno in parte, le call to action», precisa Pivato, che ricorda come il ricorso agli algoritmi tocchi oggi anche aspetti apparentemente marginali della vita bancaria: «Prendiamo il caso delle 35 diverse versioni delle carte di credito, l’unica cosa fisica della banca digitale, che abbiamo personalizzato sulla base di figure come Lego, videogiochi, cibi gourmet o animali. La gestione del dato ci permette di anticipare il loro riordino in base al gradimento dei clienti o dei commenti rilasciati sul web». Non solo. Per ogni utente della banca ci sono 700 indicatori, che lo seguono per anticipare i suoi bisogni o prevenire il suo abbandono: «In questo modo abbiamo recuperato il 30 per cento dei depositi vincolati che, alla scadenza, rischiavano di finire su istituti concorrenti. In pratica, riusciamo a intercettare il cliente che, scaduta la sua linea, sta per portare le somme da un’altra parte e gli proponiamo il rinnovo a un tasso favorevole».

Dell Technologies: che i dati siano “democratici”

Ma quali risposte concrete possono arrivare al mondo bancario dagli esperti di tecnologie avanzate? Michele Santulin, Dell Technologies, è convinto che, per popolare l’intelligenza artificiale e renderla davvero efficace, i dati debbano essere fruibili a tutti. «Il problema», avverte, «è che sul mercato sono presenti un numero ristretto di grandi attori con soluzioni funzionali solo nel loro mondo. Noi vorremmo invece che il dato resti aperto, democratico: pensiamo a un ecosistema che possa aggiungere alle nostre componenti tecnologiche una serie di applicazioni indipendenti. E quindi che permetta ai dati di essere completamente agnostici rispetto al cloud su cui girano, che sia pubblico o privato. Abbiamo paura, mi si perdoni la provocazione, che le banche arrivino a ricrearsi i mainframe sul cloud per poi ripagare a rate l’accesso ai loro stessi dati. Noi al contrario siamo per un concetto ibrido, open, che eviti lock-in a livello di framework di sviluppo».
«La sfida», aggiunge Marco Mengotto,FSI Practice Leader EMEA per Dell Technologies, «è capire dove si vuole  posizionare il dato, astraendoci dai tradizionali silos dei data center: ossia, avere accesso al dato in modo diretto e veloce, per elaborazioni in giorni e non in mesi, e decidere chi ha la proprietà del dato e la piena coscienza delle eventuali condivisioni con l’esterno. Nel momento in cui si decide dove i dati risiedono, ad esempio nel caso del trading ad alta frequenza, bisogna vestire il tutto in modo opportuno. Con piattaforme in grado di cercare dentro enormi magazzini e soluzioni capaci di rendere disponibili dati scremati verso le piattaforme di analisi. Dell Technologies ha nel suo portfolio soluzioni per ciascuna di queste tematiche, con un’ottima esperienza d’uso: vale a dire un alto livello di automazione, una semplificazione dei componenti e un’ampia libertà di scegliere dove usare il servizio migliore, in modalità ibrida».
VMware: la sfida, tra infrastrutture e applicativi
Sulla stessa lunghezza d’onda Giulio Barki: «VMware offre due macrocategorie di soluzioni. Una sono gli strumenti di sviluppo, per i quali siamo tra i maggiori contributori al mondo dell’open source. La nostra attività più frequente è la valutazione degli applicativi, per capire insieme il tipo di intervento da mettere in cantiere, se di tipo conservativo, migliorativo o innovativo. La seconda riguarda le infrastrutture. Siamo una delle società più rapide a trasportare tutti i processi nel mondo cloud e a farli ritornare verso il proprio data center. E siamo gli unici che possono ospitare nella propria infrastruttura sia gli applicativi tradizionali, con cui si è lavorato fino ad oggi, che quelli moderni, fatti essenzialmente di micro-servizi. Quando noi elaboriamo qualcosa dalla nostra infrastruttura creiamo una macchina virtuale o un container che ospita un micro-servizio. E lo facciamo con gli stessi comandi e con gli stessi strumenti di gestione e automazione. Credo che questa sia una peculiarità unica che rende unica la nostra offerta».
Dal confronto emerge con evidenza come i dati oggi rappresentino un vero e proprio tema di business, leva per sviluppare e proporre in maniera efficace nuovi servizi qui e ora. Oltre a essere una “sfera di cristallo”, ma estremamente concreta, che consente alle organizzazioni di guardare e operare in prospettiva, per riuscire a essere sempre più tempestivi (e pertinenti!) rispetto alle attese future dei clienti.
 

Clicca qui per rivedere l’Innovation Workshop e vedere gli interventi dei protagonisti

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