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08 Dicembre 2024 / 02:50
Mercato del lusso: più che e-commerce, digital strategy

 
Scenari

Mercato del lusso: più che e-commerce, digital strategy

di Mattia, Schieppati - 13 Settembre 2018
Per i luxury brand le vendite online valgono oggi il 8%, ma rappresentano il canale con più alto potenziale di crescita. Accompagnate da una strategia di approccio al digitale capace di conservare quell’esperienza di esclusività e attenzione al cliente che fanno la differenza per le Maison. Bulgari, per esempio …
Il polso della situazione viene offerto dalle sfilate della Fashion Week che in questi giorni stanno illuminando di lustrini e paillettes Milano, per spostare poi il proprio circo a Parigi e quindi a New York. Improvvisamente, da un giro d’anni, il front row, l’ambitissima prima fila vista passerella tradizionalmente riservata alle grandi firme dei magazine del fashion, è stato colonizzato da blogger, youtuber e instagrammer, richiestissimi e coccolatissimi da uffici stampa e pr dei grandi brand. Per i quali un post fatto dall’influencer giusto vale ormai più di una pagina sul Financial Times.
Non è solo un fenomeno di costume, ma l’effetto più evidente di un business – quello della moda e in generale dei cosiddetti “beni di lusso” – che sta cambiando profondamente le proprie strategie di comunicazione, ma anche e soprattutto di vendita. Un cambiamento che è e che sarà sempre più “customer driven”: con l’affacciarsi della generazione digitale sul mercato dei top spender, e il peso sempre più determinante della clientela orientale digital addicted, anche le strategie di vendita dei brand un tempo abituati a pascolare nei propri cortili protetti (Quadrilatero della Moda, Place Vendôme, Fifth Avenue) devono cambiare verso. Così l’e-commerce, che per anni è stato visto e vissuto con orrore da quasi tutti i brand del lusso, che vedevano piattaforme e siti di vendita come “supermercati” indifferenziati, incapaci di valorizzare l’esclusività dei propri prodotti, diventa una strategia importante e in prospettiva fondamentale dello sviluppo.

Quota 8%

Ad oggi le vendite online dei personal luxury goods ammontano a circa l’8% dello shopping globale, pari a 254 miliardi di euro. Una percentuale che, in media, è stata raggiunta da molti brand del settore, secondo quanto emerge da un approfondimento proposto proprio in questi giorni di sfilate dagli analisti di Pambianco. Per il gruppo Lvmh l’e-commerce vale il 7% (ovvero circa 3 dei 42,6 miliardi di fatturato, con una crescita del 30% anno su anno). Attorno a queste percentuali si muovono anche Tiffany (tra 6 e 7% nel 2017), Ralph Lauren (8,8% nel 2017), Moncler (7,5% del fatturato totale, ovvero 1,2 miliardi). Qualcosa in più per brand come Sergio Rossi e Burberry ( 10%), mentre il gruppo Tod’s è al 5%. Un discorso a parte merita Gucci che dichiara un 4%, ma riferito, come specificato dall’azienda, al solo canale Gucci.com (senza cioè i ricavi delle piattaforme terze) e le cui percentuali di crescita sono impressionanti. Complice la forte sterzata data, negli ultimi due anni, verso la generazione dei giovanissimi: +86% nelle vendite online nel 2017 rispetto al 2016 e +88% nel solo secondo trimestre del 2018. Più conservativo Prada, che in occasione della pubblicazione dei dati annuali ha annunciato l’intenzione di portare l’incidenza dell’online dal 4-5% attuale al 15% nel 2020.
Secondo il report The Age of Digital Darwinism realizzato da McKinsey, le vendite di lusso online arriveranno a contare il 12% (37 miliardi) nel 2020 e il 19% (74 miliardi) nel 2025. Un ruolo importante in questo sviluppo lo giocheranno le piattaforme multimarca, da Ynap – controllata dal Gruppo Richemont e nata dallo sviluppo dell’italianissima Yoox, a Farfetch. Secondo Goldman Sachs, tra il 2019 e il 2025 i titoli del lusso beneficeranno in totale di 23 miliardi di ricavi derivanti dalle piattaforme online multibrand, passando dall’attuale 1% delle vendite al 10%. Per non parlare dell’interesse dei “colossi generalisti”, da Amazon a Alibaba, per le potenzialità del mercato del lusso.

Strategie di sviluppo digitale

Ma per capire la filosofia di approccio al mercato e come il mondo dell’esclusività sta cambiando le sue logiche per entrare in contatto con il mercato “flat” della Rete, è più interessante osservare le strategie di sviluppo dei singoli marchi. Un assunto è fondamentale: nel mercato del lusso, il tema dell’e-commerce va affrontato non a livello di canale di vendita, ma come strumento all’interno di una strategia allargata di proposta digitale. «Oggi parliamo infatti di reverse omnichannel perché stimiamo che già ora l'80% delle vendite di beni di lusso siano influenzate dal digitale: nel loro viaggio verso l'acquisto i clienti si imbattono in uno o più "touch point" digitali. I consumatori che iniziano e finiscono l'esperienza di shopping senza mai andare online sono oggi il 22% e li considero una categoria in via di estinzione», spiega Antonio Achille, senior partner di McKinsey e global leader per il settore Luxury della società di analisi e consulenza.
Uno strumento importante per effettuare questa valutazione è la Digital Competitive Map, la ricerca realizzata da Contactlab ed Exane Bnp Paribas, il ramo del gruppo bancario francese dedicato agli investimenti finanziari, che misura il livello di cross-canalità e di digitalizzazione dell’offerta di 34 marchi di moda e lusso internazionali. Per l’edizione 2018, la sesta, la Digital Competitive Map ha tenuto conto di 19 criteri e analizzato178 parametri sugli assi dello “Strategic Reach” e della “Customer Experience“.
Analizzando l’asse delle ordinate, dedicato alla Digital Strategic Reach, per esempio si evidenzia che Burberry mantiene la sua posizione di leadership. Gucci quasi lo raggiunge anche grazie all’apertura in Cina e all’ampliamento dell’offerta online, anche in categorie di prodotto non core, come gli accessori casa, mentre Dolce&Gabbana si attesta al terzo posto grazie a un efficace sviluppo della strategia social a livello globale, in particolare su Instagram e perfino sul russo VK. Per quanto concerne l’asse delle ascisse, Gucci e Louis Vuitton guidano la classifica dei brand che offrono la migliore Digital Customer Experience, mentre Burberry e Cartier si posizionano al secondo e terzo posto.
Passi da gigante anche per Prada che si è finalmente convertita al digitale, superando a livello generale Hermès, Dior e Chanel e soprattutto guidando la categoria degli importantissimi servizi cross-channel. Anche Zegna e Valentino, grazie a Ynap, si distinguono nei servizi cross-channel, offrendo non solo di verificare la disponibilità in negozio, il ritiro in store e la prenotazione tramite appuntamento, ma anche l’interessante e ben più complesso servizio “Reserve & Try In Store”, ovvero la possibilità di prenotare un articolo e provarlo in negozio.
«Il passaggio all’omnicanalità, vale a dire la capacità di un brand di tenere il contatto col cliente nei suoi diversi percorsi e mezzi con cui si interfaccia con esso, è sicuramente uno degli aspetti su cui hanno maggiormente lavorato i brand che hanno fatto più passi in avanti nella classifica globale, mostrando uno sforzo logistico non indifferente», spiega Marco Pozzi, Senior Advisor di Contactlab. «Tuttavia l’approccio omnicanale deve coinvolgere tutti i livelli del business, ponendosi come modalità operativa anche nella relazione con il cliente attraverso le strategie di marketing sino a un livello individuale. Risultano infatti sempre più indissolubili dai piani di business le logiche di acquisizione e di fidelizzazione del consumatore attraverso i mezzi digitali, insieme alla capacità di un brand di intercettare e interpretare i mutevoli e non-lineari comportamenti del consumatore. Il segreto per far funzionare questa dinamica è la capacità di un’azienda di estrarre valore dai dati per creare un rapporto di fiducia con il consumatore e rendere fluido e sempre pertinente il suo rapporto con il brand».

Modello Bulgari

Una Maison che nel 2018 ha avviato una potente strategia di sviluppo digitale, di cui il canale e-commerce è parte, è Bulgari, uno dei marchi top dell’esclusività, che ha aperto il proprio canale di vendita online prima in Usa, Giappone e Uk, è poi sbarcata in Cina attraverso la piattaforma WeChat ed entro la fine del 2018 prevede lo sviluppo anche in Europa, Italia compresa.
Una scelta, e un percorso, quello dell’e-commerce Bulgari, che a ciclo concluso può rappresentare una case history interessante, dato il posizionamento altissimo del brand (che fa parte del gruppo Lvmh), che di sicuro non cerca attraverso l’online una “democratizzazione” dei propri prodotti. Ma, piuttosto, vede la vendita come punto di arrivo di «un’esperienza» che il cliente vive nell’aura del marchio.
Un percorso spiegato bene da Jean Christophe Babin, Ceo di Bulgari, in un’intervista pubblicata su World Tempus, l’organo di informazione della Swiss Watch Authority: «Se una Maison pensa all’e-commerce come strumento a sé, solo perché ci deve essere, ha una prospettiva corta. Noi, a monte della piattaforma di vendita, abbiamo sviluppato un concetto omnicanale completo. Abbiamo strutturato unità di customer service evolute per ogni regione – in Irlanda, a Singapore e nel Middle East. Un brand come Bulgari non può dare al proprio cliente solo un carrello online da riempire e una consegna si spera rapida del prodotto: dobbiamo essere a disposizione e accompagnare i nostri clienti sette giorni su sette, creare con loro, attraverso gli strumenti digitali, la stessa esperienza di accoglienza, attenzione, sensibilità che vivono quando si relazionano con il nostro personale in boutique. Per esempio, se un cliente ci manda un messaggio su Instagram, dobbiamo essere in grado di rispondere immediatamente, così come essere subito a disposizione per seguirlo durante il percorso di acquisto. Se compri su Amazon compri da qualcuno che vende solo un oggetto. Noi vogliamo che comprare da Bulgari sia una esperienza molto più coinvolgente», spiega Babin. «Quel che vogliamo costruire è una relazione 24/7 con i nostri clienti: cosa che, per esempio, una boutique fisica non può garantire. La differenza, e il vantaggio del digitale, si gioca su questo. I brand, soprattutto i brand del lusso, spesso vedono l’e-commerce come un completamento, un anello, di secondaria importanza, dei loro canali di vendita. Invece i dati ci dicono che non è così. Il digitale viaggia su un canale differente rispetto al retail fisico, e quindi richiede una strategia ad hoc, che attivi, oltre alla piattaforma di vendita, anche tutte le altre potenzialità del digitale, tutti quei canali che creano relazione con il cliente».
Digitale e social per l’engagement del cliente, quindi. Ma in questo sbarco del lusso online entrano anche strumenti sofisticati come per esempio la data intelligence: la profilazione come elemento principe per garantire esperienze esclusive e servizi su misura, che sono quel “di più” che la clientela high spender chiede ai propri brand. «Dal momento che Bulgari è oggi prevalentemente un direct retailer, con la propria rete di boutique in tutto il mondo, abbiamo già un solido sistema di Crm che ci dà un forte vantaggio rispetto al tema della gestione e analisi dei dati. Già da qualche anno abbiamo sviluppato un algoritmo in grado di prevedere l’andamento della domanda a partire da alcuni indicatori di performance. È uno strumento molto sofisticato, sul quale poggia anche il nostro canale e-commerce. Anche questo fa parte della “strategia” che dicevo: sviluppare l’e-commerce poggiando su spalle già solide. E crederci. Non mi pare irrealistico pensare che, tra 10-15 anni, il 50% del nostro business potrebbe essere rappresentato dall’e-commerce».
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