La blockchain è energivora? Non per forza
di Ildegarda Ferraro
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6 Febbraio 2019
La catena di blocchi non richiede per definizione una enorme quantità di energia. Certo la blockchain alla base delle criptovalute, con la presenza dei miner per validare i blocchi, implica l’uso molto consistente di energia. Ma in tutti i casi in cui i miner non sono previsti il consumo è assolutamente limitato. Spunta Project, il progetto di Abi Lab e delle banche per risolvere le incoerenze dei conti reciproci nella spunta interbancaria, richiede un uso assolutamente modesto di elettricità con l’applicazione della Distributed ledger techonology
Una farm per l’estrazione dei bitcoin. L’immagine è quella di computer e computer che lavorano a manetta. Un luogo possibilmente freddo, visto il calore scatenato dalle macchine. Una landa desolata in una periferia del mondo dove l’energia sia a buon prezzo. O anche un luogo in città, magari sottoterra, con un accordo di fondo per avere energia scontata. Perché per vox populi con la blockchain l’energia va a gogo. Le stime, d’altra parte, parlano di più energia della Danimarca o dell’Irlanda o del Marocco. E cresce…
La blockchain può essere risparmiosa
In realtà la catena dei blocchi in sé stessa non ha per forza una connotazione energivora. Parlo con i colleghi impegnati sul campo giorno per giorno. È la blockchain collegata alle criptovalute che comporta molta energia. La differenza è sostanziale. Nel caso di Distributed ledger technology (Dlt) cosiddetta permissioned, ossia privata, non pubblica, non orientata alla definizione del blocco per la creazione di criptovaluta il consumo è limitato. Ovviamente una Dlt permissioned è per definizione aperta solo ad attori predefiniti. Le permissioned ledger possono avere una proprietà, le attività possono andare avanti in maniera indipendente, ma con un controllo limitato a chi è autorizzato. Insomma, nelle permissioned ledger c’è una governance e regole di comportamento.
La miniera dei miner
Situazione diversa è quella delle permissionless ledger, come nel caso dei bitcoin. Per queste blockchain non è prevista una proprietà, sono aperte e per definizione sono dirette a non essere controllate. L’idea è che la partecipazione non qualificata di tutti contribuisce all’aggiornamento e allo sviluppo. Seguendo il processo una transazione viene inserita in un blocco, che validato, entra de plano a far parte della catena.
È in questo contesto che nasce la miniera dei miner, ossia di chi si attiva per processare e validare il blocco con operazioni matematiche di grande consumo energetico. Nel bitcoin questa attività viene compensata con bitcoin di nuova emissione. Insomma, la miniera moderna per estrarre le criptovalute è un set sempre più grande e potente di computer, che ovviamente va ad energia. Un blocco di transazioni può essere aggiunto alla catena dopo essere stato controllato, validato e crittografato. Il lavoro dei miner è legato all’hash, all’operazione che mappa e traduce una stringa di lunghezza variabile in una unica e univoca di lunghezza definita. L’hash definisce in maniera unica un blocco. In genere per trovare la soluzione i miner usano il metodo bruteforce, praticamente usano ogni soluzione teoricamente possibile fino a quella corretta. È qui che scatta il numero elevato di tentativi. Quando il problema viene risolto il miner manda alla rete una proof of work e riceve il compenso di una commissione e di nuovi bitcoin.
Ovviamente per me più che una miniera questa storia dei miner è un mistero. Le spiegazioni più semplici della loro attività in rete parlano di risolvere un’operazione di hashing inverso a 256 bit. In sintesi, risolvere una stringa di lunghezza arbitraria in una di lunghezza predefinita. Va da sé che provare e riprovare non è economico da un punto di vista energetico. Di qui le grandi miniere di bitcoin in oriente, dove fa freddo e l’energia ha prezzi convenienti.
Sono apparse miniere anche da noi. Così per esempio
a Milano notizie precise sono state diffuse su di una miniera sotterranea. In aziende e sottoscala
anche in Italia un po’ di minatori si sono dati da fare. Certo il forte calo del valore del bitcoin nell’ultimo periodo ha comportato che
a volte possa valere meno del costo per estrarlo. Le ultime notizie danno comunque in ripresa la potenza computazionale dei minatori del mondo, dopo un forte calo. Insomma, si sarebbe passati per una selezione drastica e la ripresa della crescita della potenza computazionale indicherebbe che ci sono ancora margini di redditività.
Spunta Project non è energivora
La Dlt che le banche e Abi Lab stanno sperimentando per riconciliare i conti reciproci è per definizione permissioned, aperta solo ad attori predefiniti, con una sua governance precisa e una rete privata su cui operare. Il consumo di energia è quindi assolutamente limitato alla normale operatività. La rete privata garantisce la sicurezza dell’ambiente circoscritto. Le operazioni non prevedono l’uso di modalità di prova e riprova.
Per Spunta project cresce l’attenzione in Italia e fuori. Ma questa è un’altra storia…