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29 Marzo 2024 / 06:36
3 dollari per la tua privacy

 
Scenari

3 dollari per la tua privacy

di Mattia Schieppati - 14 Aprile 2020
Quanto vale il patrimonio di dati digitali di ciascuno? Uno studio condotto dal Technology Policy Institute in sei Paesi nel mondo l’ha chiesto alle persone. Che sarebbero disposte a vendere la propria privacy per cifre davvero interessanti…
È una delle principali galline dalle uova d’oro dell’economia 4.0 ed è da anni il campo di battaglia che vede in competizione tra loro tutte le big tech e il mondo del business con il fronte delle istituzioni, delle authority e delle legislazioni nazionali e sovranazionali. Eppure, se si prova a scavare un attimo e a verificare se e quanto i cittadini delle diverse latitudini sono a conoscenza del valore della propria identità digitale – ovvero tutte le tracce che si spargono tra cronologie di navigazione, social network, consensi rilasciati con indifferenza ad app e servizi online – le risposte lascerebbero desolati coloro che da anni si battono per garantire la sicurezza e la tutela della privacy individuale nel mondo digitale. A scavare ci hanno provato i ricercatori del Technology Policy Institute, think tank statunitense che ha condotto uno studio sul valore attribuito alla privacy dei dati digitali, rispetto alle differenti piattaforme di navigazione, in sei Paesi del mondo: Usa, Germania, Messico, Brasile, Colombia e Argentina. Il risultato? Un poderoso paper dal titolo How much il privacy worth around the world and across platforms (lo trovate qui).

La cultura della privacy

Prima dei dati, dallo studio emergono due tendenze significative. Primo, in Europa c’è una consapevolezza del valore dei dati personali e della loro tutela superiore rispetto ad altre aree del mondo, in primis degli Stati Uniti. I dati che emergono dalla nazione-campione europea inclusa nella ricerca, la Germania, lo confermano con grande evidenza: tra le popolazioni analizzate, i tedeschi sono quelli che pretendono un controvalore più alto per la cessione dei propri dati in tutte le differenti categorie di indagine. Segno di come le campagne fatte a livello comunitario e l’introduzione del nuovo regolamento Gdpr abbia contribuito a una cultura della privacy diffusa.Secondo elemento, i dati relativi ai movimenti bancari e finanziari sono quelli che in tutte le nazioni campioni sono considerati più preziosi e con la più alta valorizzazione, insieme ai dati relativi all’identificazione biometrica. Questo rafforza il ragionamento sul valore del trust, della fiducia che i clienti ripongono nella loro banca e nel grande e delicato patrimonio che le aziende bancarie si trovano ad amministrare in quest’epoca di rivoluzione tecnologica.

Chi offre di più?

Quantificando il valore dei dati personali, una piattaforma tecnologica, tra tutte le persone valutate dallo studio, dovrebbe pagare in media ai consumatori 8,44 dollari mensili per condividere le informazioni sul proprio saldo bancario, 7,56 dollari per condividere le informazioni dell’impronta digitale, 6,05 dollari per leggere i testi di una persona e 5,80 dollari per condividere le informazioni sui prelievi di contanti. Di bassissimo valore sono invece considerate le informazioni relative al tracciamento della nostra posizioni, dati che gli intervistati condividerebbero, in media, per soli 1,82 dollari al mese.A dare meno valore ai propri dati sono gli statunitensi, disponibili in media a essere pagati da Facebook poco più di 3 dollari al mese per consentire alla piattaforma social di condividere i dati utente con soggetti terzi. I tedeschi chiedono invece almeno 7 dollari. In generale, «abbiamo constatato che le donne valutano la privacy di più rispetto agli uomini per tutti i tipi di dati, piattaforme e in tutti i paesi. Inoltre le persone anziane in generale valutano le proprie informazioni personali di più rispetto ai giovani», osserva Scott Wallsten, presidente e senior partner del Technology Policy Institute, che guardando alle differenti legislazioni che governano la tutela della privacy nei vari paesi del mondo, ha aggiunto: «Le differenze nel modo in cui si ha a cuore la propria privacy suggeriscono che le persone in alcuni luoghi potrebbero preferire una regolamentazione più debole, mentre gli abitanti di altri Paesi potrebbero preferire più garanzie. La quantificazione del valore della privacy è necessaria per condurre qualsiasi proposta di analisi».

Ma quanto valgono i dati davvero?

Se la ricerca fa emergere il sentiment delle persone rispetto al valore dei dati, è complesso definire oggettivamente questo valore. Un calcolo abbastanza grossolano, ma che può dare un ordine di grandezza, potrebbe essere questo: prendere il totale dei proventi pubblicitari del digital negli Usa (circa 83 miliardi di dollari) e dividerlo per gli utenti Internet attivi in Usa (circa 287 milioni). In questo caso il valore dell’utente medio e del suo patrimonio di dati è di 290 dollari l’anno. Un valore decisamente più alto rispetto alle richieste assolutamente sottostimate che emergono dall’indagine.Un esperimento interessante, in questo senso, è quello fatto da un italiano già nell’ormai lontano 2013. Federico Zannier ha messo in vendita sulla piattaforma Kickstarter il proprio pacchetto di dati digitali comprensivo di: un elenco di pagine web visitate, le immagini del suo monitor a intervalli regolari, un log dell’utilizzo di tutte le applicazioni, la navigazione Internet, le ricerche effettuate, la geolocalizzazione e i movimenti del mouse. Prezzo di partenza messo all’asta, 2 dollari al giorno. Risultato, la sua proposta è stata “acquistata” al rialzo, per 2.733 dollari (vedi qui).

Pagare per più privacy?

Una riflessione interessante sul tema è quella proposta da Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy, in un lungo intervento sul Sole 24Ore. Bernardi prova a ribaltare la questione: «Piuttosto che essere pagati per concedere lo sfruttamento dei propri dati personali, avrebbe una certa logica considerare che le persone potrebbero invece essere disposte loro a pagare per ritagliarsi un angolo della loro privacy.Giusto per fare qualche esempio, che dire se fossero proposti sul mercato abbonamenti per telefoni cellulari che garantissero agli utenti vera riservatezza di default senza essere mai disturbati da fastidiosi call center?». Prosegue Berardi: «Oggi per arrivare alle destinazioni desiderate gli utenti utilizzano app gratuite con le mappe installate sullo smartphone che sono tanto utili quanto invasive a causa di geolocalizzazioni persistenti per finalità di marketing. Ma che dire se le persone potessero essere sollevate da una sensazione di pedinamento continuo potendo scegliere di comprare a prezzi accessibili delle applicazioni a pagamento veramente rispondenti al requisito di “privacy by design” prescritto dal Gdpr senza più sondaggi e annunci pubblicitari per ogni luogo visitato? E se trai prossimi modelli di smartphone e notebook ve ne fossero alcuni banalmente dotati di un piccolo sportellino per coprire la fotocamera, gli utenti sarebbero disposti a pagare qualche euro in più per comprarli? Anche se finora gli utenti sono stati assuefatti a regalare i loro dati personali in cambio di vari gadget “gratuiti”, ciò non toglie che un più elevato livello di vera privacy potrebbe ricevere più gradimento di quanto si possa pensare al presente, e molte aziende potrebbero guadagnare molto sotto il profilo reputazionale proprio perché offrono maggiori tutele di altre meno rispettose. Inoltre, si potrebbero aprire anche nuove e inaspettate nicchie di business per start-up virtuose di nuova generazione con lo scopo di progettare servizi e prodotti “privacy oriented”».
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