Pmi e sostenibilità: l'effetto-Greta crea valore
di Mattia Schieppati
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2 Ottobre 2019
La rubrica doGood di Bancaforte, realizzata in collaborazione con doValue, dedica un focus a Pmi e sostenibilità: 7 imprese su 10 adottano politiche di sostenibilità, ma solo meno della metà ne ha fatta una strategia di sviluppo. I dati dell’Osservatorio Global Strategy fotografa il rapporto tra imprese e criteri Esg. Vio (Credit Suisse): «È un fattore fondamentale per gli investitori»
Mentre il mondo, dall’appello ad alto impatto mediatico di Greta Thunberg dal palco dell’Onu alle centinaia di migliaia di studenti in piazza, si trova costretto a fare i conti su una plateale e ormai inarrestabile presa di coscienza collettiva, all’interno di Palazzo Mezzanotte, a Milano, sede di Borsa Italiana, imprenditori, manager e opinion leader dimostrano pur con toni soffusi e senza eccessi di emotività di aver già maturato questa coscienza. E che il quesito di come fare impresa e profitto (ben venga!) senza pregiudicare il futuro del pianeta e delle comunità, anzi magari contribuendovi in maniera positiva secondo i traguardi indicati nell'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sia già da anni entrato nell’agenda di manager e imprenditori.
L’occasione per avere la misura di questa sensibilità, e incontrarne i risultati concreti, è stato l’annuale evento di presentazione dei dati dell’Osservatorio Pmi Aziende Eccellenti 2019 realizzato da Global Strategy su un campione di 722 Mid Cap eccellenti. Il titolo della giornata è tanto un manifesto di intenzioni, quanto la constatazione della centralità del tema: “Sostenibilità e creazione di valore. Un binomio da ricercare”.
Serve concretezza, non marketing
«Un titolo nato in tempi non sospetti, pre-Greta per capirci. Non ci interessa seguire temi “di moda”, ma vogliamo approfondire le tendenze reali dei nostri imprenditori», spiega Antonella Negri Clementi, presidente e Ceo di Global Strategy. «I nostri imprenditori sono persone che lavorano sui contenuti, sono persone di azienda, non di immagine: il tema affrontato con loro attraverso questa ricerca è quindi che cosa significa implementare la sostenibilità nei processi, che cosa significa fare investimenti, spesso imponenti, su uno scenario di lungo e lunghissimo termine, che non dà ritorni nel breve o medio periodo. In questo senso, la sostenibilità è una grande sfida che presuppone un cambio di mentalità, non solo di processi produttivi».
Sostenibilità ambientale al primo posto
I numeri raccolti da Global Strategy parlano chiaro. Di fatto se quasi il 100% delle aziende intervistate afferma di conoscere con diverse sfumature le tematiche Esg, e 7 su 10 dichiarano di adottare politiche di sostenibilità. Ad aver sviluppato una vera e propria strategia integrata è però poco meno della metà (48%).
Altro tema ancora riguarda la gestione della filiera. Il 44% delle aziende intervistate dichiara di utilizzare criteri di sostenibilità nella scelta e nei controlli della propria supply chain ottenendo, a fronte di maggiori costi, una maggiore qualità e maggiori livelli di servizio.
Se si prova ad analizzare le effettive policy Esg adottate, si conferma la preponderanza delle tematiche ambientali rispetto a quelle sociali e di governance. Non c’è bisogno necessariamente di parlare di effetto Greta Thunberg, ma è palese che comportamenti legati al corretto riciclo dei rifiuti (su cui peraltro vige in Italia una legislazione stringente), al ricorso alle energie rinnovabili e alla riduzione delle emissioni siano da dare quasi per scontate in un’azienda che ambisca all’eccellenza. Comportamenti che 2 imprese intervistate su 3 dichiarano di adottare. La percentuale scende vicino al 50% se si parla di politiche di sostenibilità sociale e di governance: in questi due ambiti le policy più formalizzate risultano essere nel primo caso quelle di tutela della soddisfazione e benessere dei lavoratori, e nel secondo caso quelle di adozione di un codice etico e di condotta.
L’etica dell’imprenditore fa da guida
Un dato che è già di per sé eloquente, ma lo diventa ancora di più se lo si legge alla luce di un altro elemento: la valutazione da parte degli imprenditori e del top management dell’importanza delle politiche di sostenibilità. In una scala da 1 (nulla) a 5 (molto alta) le convinzioni etiche della proprietà sono in assoluto l’elemento più importante, con un punteggio di 3,8; analogo al calcolo del ritorno che l’adozione di scelte green può avere in termini di immagine.
Punteggio 3,5 per chi decide di far qualcosa “per adeguarsi ai trend attuali o ad adempimenti normativi”, e solo 2,7 (che significa “abbastanza poco importante”) l’idea che politiche Esg possano migliorare gli indicatori di performance anche nel breve periodo. Opinioni e convinzioni etiche, quindi, più che una pianificata strategia economica. Riconoscimento del proprio ruolo di catalizzatore sociale, ma non ancora consapevolezza dell’impatto della sostenibilità sul valore aggiunto nel medio-lungo periodo.
Il ruolo della banca
Se “dovere” dell’impresa è comprendere come fare della strategia di sostenibilità una leva di valore, compito storico delle banche è quello di accompagnare questo percorso. E, soprattutto quando si tratta di piccole e medie imprese, condividere un know-how e una capacità di sguardo d’orizzonte senza dubbio preziosa.
Significativa, in questo senso, che una delle voci più nette all’interno della tavola rotonda che ha approfondito i risultati dell’Osservatorio sia stata quella di Giorgio Vio, Ceo per l’Italia di Credit Suisse, alla sua prima uscita pubblica con questo ruolo. In un dialogo con il presidente di Borsa Italiana, Andrea Sironi, Vio ha sottolineato come «oggi la sostenibilità non sia una delle strade per costruire lo sviluppo di un’azienda, ma sia “la” strada. Non è un binomio, ma un processo di causa ed effetto: una creazione di valore senza sostenibilità oggi semplicemente non è data. La sensibilità degli investitori, soprattutto internazionali, rispetto ai criteri Esg, è altissima. Il Morgan Stanley Capital Index ha selezionato, negli ultimi 10 anni, un 30% di titoli che operano già secondo criteri Esg; bene, la performance generata da queste realtà non ha nulla meno rispetto ad altre realtà che sono, diciamo così, un po’ meno sostenibili. Ciò significa l’avere criteri Esg e la generazione di valore vanno di pari passo».
L’Italia, su questo, non ha scuse, anzi. «È vero che forse il sistema produttivo italiano si è mosso un po’ in ritardo», dice Vio, «ma dai dati del rapporto Green Italy 2018 osservo che abbiamo quasi 3 milioni di persone occupate in aziende green, e anche nell’ambito dell’economia circolare l’Italia l’impresa italiana ha un andamento che è molto vicino ai paesi più evoluti del Nord Europa. Questo ci conferma nel fatto che la storica creatività delle piccole medie aziende italiane sta dando il meglio di sé anche in questo capitolo “nuovo” dell’impresa sostenibile». E qual è il ruolo delle banche, in tutto questo? «Il fronte di impegno delle banche deve andare oltre questa “soglia minima”, e guardare alla sfida dell’impact investing. Ovvero, investire in realtà che, con la loro attività, producono un cambiamento che investe in maniera allargata una comunità, un territorio. Che producono un mutamento, in positivo, di lunga durata. In Credit Suisse abbiamo una divisione che dal 2014 si occupa di advisory sull’impact investing: a tendere, questo fattore peserà sempre di più».
La rubrica doGood, realizzata in collaborazione con doValue, racconta le buone pratiche nel campo della Csr, in particolare delle realtà bancarie, finanziarie e assicurative. La rubrica vuole essere una rassegna in presa diretta, attraverso le testimonianze dei protagonisti di come l’impegno delle aziende verso le comunità di riferimento diventa un’importate leva di crescita personale. E professionale ...