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25 Aprile 2024 / 15:46
Colpire al cuore. Il marketing che emoziona

 
Scenari

Colpire al cuore. Il marketing che emoziona

di Massimo Cerofolini - 14 Dicembre 2021
Attenzione ai desideri inconsci delle persone. Home page e messaggi personalizzati secondo il carattere dei diversi destinatari. Esperienze coinvolgenti dentro negozi e filiali. Nell’ultimo incontro dell’Osservatorio marketing di Abi, i segreti per curare un rapporto di empatia con i propri utenti
Sulla carta tutto era perfetto: un bravo attore, un regista affermato, l’idea forte di associare i numeri del colesterolo a quelli dei momenti felici, ma soprattutto il consenso unanime di chiunque avesse visto quel video. Eppure dopo il lancio dello spot le vendite del famoso yogurt salutista ai fermenti lattici sono crollate del 20 per cento rispetto all’anno precedente. Come mai? A spiegare il paradosso ci ha pensato Vincenzo Russo, professore di Psicologia dei consumi e coordinatore del Centro di ricerca di Neuromarketing allo Iulm di Milano. Anziché limitarsi a domandare se il risultato fosse piaciuto o meno, il docente ha applicato al gruppo di valutazione gli arnesi del neuromarketing, la scienza che studia appunto i meccanismi profondi della mente applicati al commercio. E quindi: elettroencefalogramma, misurazione dei battiti e della sudorazione, tracciamento oculare e via dicendo. Ed è venuto fuori che tutto ciò che a parole suonava positivo risultava invece sgradevole per l’inconscio degli interpellati. Risultato: cambio di spot e vendite che nel giro di poco tornano in attivo del 3 per cento.
Se c’è una morale in questa storia è forse che gli uomini della comunicazione sopravvalutano quello che le persone dicono. Che è diverso da ciò che pensano e che non corrisponde a ciò che poi fanno. Da questo bisogno di rimettere le emozioni al loro posto è partito l’ultimo appuntamento dell’Osservatorio marketing e comunicazione integrata organizzato per Abi da Daniela Vitolo. E l’intervento d’apertura è toccato proprio al professor Russo: «Oggi le tecnologie», ha spiegato, «ci consentono di capire meglio ciò che determina le nostre scelte. La prima parte del cervello che si attiva è il talamo, che risponde agli stimoli in appena 13 millisecondi. Solo dopo 500 millisecondi, un’eternità, interviene la zona che governa i processi razionali. In sostanza noi umani non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che in seconda battuta pensano».
Sulla base di questi presupposti sappiamo oggi che per catturare l’attenzione di un consumatore  bisogna puntare su elementi che colpiscono i nostri impulsi primari, come il profumo, un sorriso, un volto, il tono della voce.  E anche l’esposizione del messaggio ne deve tener conto: «Per esempio», suggerisce Russo, «molto meglio raccontare prima il problema che un certo prodotto risolve e poi la soluzione. Perché è così che si attiva il nostro cervello antico, quello che poi detta le nostre decisioni nella gran parte dei casi».
La prima frontiera su cui misurare l’impatto emotivo è il web. Spiega Chiara Bacilieri, responsabile Dati di Lifeed e consulente per il marketing psicologico a Neosperience: «Quando dal mondo fisico, dove commessi e consulenti ci mettono la faccia, passiamo a quello online viene privilegiata l’efficienza del processo a scapito delle doti personali. Si crea cioè un gap di empatia tra la sfera fisica e quella virtuale. Come colmarlo? Certo, il sito web non potrà mai avere la stessa efficacia relazionale di un operatore umano, ma è possibile ricreare un rapporto empatico anche in rete».
L’esempio di scuola è chiarissimo. Prendiamo due ragazze, Eleonora e Chiara, che per un responsabile marketing tradizionale hanno lo stesso identico profilo: entrambe studentesse, trentenni, residenti a Milano, amanti degli abiti lunghi abbinati a borse e accessori. Peccato che la prima sia una persona propensa all’unicità, desiderosa di distinguersi e se vede un’altra donna con i suoi stessi abiti s’infastidisce, mentre la seconda acquista un capo solo dopo averlo visto addosso a qualche sua beniamina, segue le tendenze e in ciò che compra cerca un legame di appartenenza a una comunità.  «Dentro un negozio», osserva Bacilieri, «il commesso si rivolgerebbe alle due clienti con toni e argomenti diversi, ovviamente. Perché invece sul web queste persone così dissimili ricevono le stesse esperienze digitali? Ecco, noi abbiamo trovato il modo di differenziare i messaggi a seconda delle svariate tipologie caratteriali. Alla prima proporremmo offerte in esclusiva, capi originali, outfit personalizzati; alla seconda abiti iconici, indossati da celebrità, tutto ciò che è must have, insomma. E questo può avvenire lungo tutto il processo di interazione. Compresa la possibilità di mostrare l’home page dell’azienda con scritte su misura per ogni singolo cliente, valorizzando dello stesso prodotto quelle caratteristiche che più si adattano alle varie personalità».
Ovviamente, per raggiungere questo livello di empatia è necessario l’ascolto. «Si possono fare domande sullo stile di vita», continua Bacilieri, «per ricavare il profilo del temperamento individuale. Oppure si possono analizzare i comportamenti degli utenti nei touch point digitali o fisici». E di nuovo si torna agli strumenti del neuromarketing.
Oggi più che mai, confermano gli esperti, le persone non comprano solo merci e servizi, ma relazioni, storie, magia. Ogni brand, in questo nuovo contesto, è così chiamato a costruire mondi carichi di narrazioni emotivamente trascinanti. Anche con l’aiuto di quelli che sono diventati i moderni sacerdoti dell’empatia: gli influencer. Si è parlato tanto del ruolo dei creator nell’ideazione di storie e video accattivanti, ma tutta da esplorare è la nuova frontiera che sta spopolando in Cina: il social commerce. «Si tratta», spiega Marco Marranini, coo di Europe Open Influence, «della possibilità di vendere qualcosa senza interrompere l’ingaggio degli utenti con il social network. Oggi infatti chi desidera acquistare un prodotto pubblicizzato da un influencer deve staccarsi dalla piattaforma e planare sul sito dell’ecommerce. Con il social commerce, invece, si passa al concetto di live shopping, in cui l’esperienza d’acquisto è diretta: vedi qualcosa che ti piace, fai clic sul video e passi direttamente al carrello». Detta così ricorda un po’ le vecchie televendite con personaggi come Giorgio Mastrota pronti a piazzare ai telespettatori qualsiasi cosa gli fosse commissionata. Ma qui, oltre alla novità del web, la differenza sta proprio nel personaggio a cui si affida il messaggio. «Il content creator», sottolinea Marranini, «è prima di tutto un utente del prodotto in promozione, che viene eletto dalla comunità per raccontare la sua esperienza. In più la sua efficacia commerciale è direttamente proporzionale alla capacità che ha di intrattenere, informare, educare».
Malgrado le limitazioni delle normative europee, le piattaforme si stanno attrezzando da tempo a questo nuovo mercato: a parte TikTok che è il battistrada del live shopping, anche Facebook e YouTube sperimentano il pulsante all’interno del video con cui comprare d’impulso quello che si vede. «La grafica delle televendite cinesi», continua Marranini, «ricorda molto quella un po’ kitsch delle nostre tv private, piene di finestre colorate con i vari prezzi e il venditore in mezzo che si sgola offrendo sconti e omaggi allettanti. Ma non deve essere per forza la stessa qui da noi. Ad esempio le banche italiane potrebbero sfruttare questo linguaggio per realizzare contenuti di grande qualità legati all’educazione finanziaria. In questo caso non è importante la descrizione dei prodotti, ma l’esperienza quotidiana dell’influencer. Che per esempio può raccontare l’uscita con un amico in cui ha usato la sua app finanziaria con gli aneddoti connessi, oppure come si immagina la sua vita a sessant’anni grazie a un piano pensione particolare».
Fin qui il ventaglio di nuove opportunità per catturare l’attenzione dei propri utenti online. Ma la presenza fisica resta ancora il portone principale sulla loro sfera emotiva. E qui ripensare negozi, filiali ed eventi reali fa tutta la differenza. Nicolò Andreula, autore del libro #Phigital: il nuovo marketing tra fisico e digitale, ricorda come nel tempo si è passati dal marketing su canali separati a quello in cui online e off line convergono in un ibrido indistinto che il filosofo Floridi definisce onlife. «È su questa nuova dimensione», osserva, «che si possono immaginare situazioni a cavallo tra reale e virtuale. Penso agli specchi interattivi in cui, per esempio, una banca può far vedere com’era l’istituto cento anni fa e come sarà tra venti. O a forme di pagamento più coinvolgenti, come il sorriso, già utilizzato in Cina al posto del contatto tra telefonino e pos. O ancora ai negozi sportivi che in certe orari chiudono per trasformarsi in palestre di yoga».
Di esempi è pieno il mondo. Fabrizio Valente, fondatore di Kiki Lab, li suddivide in tre ambiti. «Il primo è rivolto alla razionalità e soddisfa il bisogno di ridurre tempi d’attesa, stress e burocrazia: ecco allora l’app di Zara che ti guida nel negozio alla ricerca del tuo capo preferito e ti prenota il camerino per provarlo o il carrello di Amazon che riconosce la frutta, la pesa e ti addebita la spesa sul conto senza passare per le casse. Il secondo riguarda l’emozionalità e rappresenta un incremento di stupore: come nel caso dei negozi di parrucchieri con lo specchio capace di mostrare il risultato del taglio prima di eseguirlo o le app per confrontare come stanno gli occhiali sul proprio viso. E per finire le applicazioni in ambito finanziario, con gli esempi delle Poste canadesi che nei loro uffici offrono servizio di portineria per la consegna dei pacchi e un camerino di prova per verificare subito se i vestiti acquistati sono della misura giusta. O l’istituto spagnolo CaixaBank che ha creato Imagine cafè, uno spazio dove accanto ai servizi bancari ci sono ristoranti, mostre, aree per videogiocatori e sale relax».
Luoghi questi che favoriscono la nascita di comunità intorno al marchio di un’azienda. E nel mondo una delle esperienze più capaci di aggregare persone su interessi simili è quella di Leroy Merlin. Caterina Clara Nincevich lavora per il colosso del bricolage come Community, events and influencer marketing manager: «Abbiamo capito che le persone desiderano vivere e condividere la loro passione per la casa. E abbiamo deciso di rispondere sia sul canale telematico che su quello fisico. Online abbiamo creato uno spazio di conversazione dove chiunque può dialogare coi nostri esperti o con i creativi che contattiamo, o dove può pubblicizzare i propri contenuti. Nei negozi, invece, abbiamo creato un vero e proprio palinsesto con seminari e incontri, animati spesso da micro-influencer dotati di una base piccola ma agguerrita, eventi che peraltro vengono trasmessi anche in diretta su internet”. Due i valori su cui Leroy Merlin tiene unite le persone: il primo è l’amore per il fare, e riguarda la continua ricerca per soluzioni e cambiamenti piccoli e grandi per l’abitazione. Il secondo invece è l’appartenenza al proprio territorio, il piacere di realizzare lavori a beneficio delle realtà più svantaggiate: case famiglia, ospedali, carceri».
Tante, insomma, le strategie per scaldare il cuore del proprio pubblico. Ma l’ultima parola della giornata, e dell’intero ciclo di incontri dell’Osservatorio, l’ha pronunciata Alice Siracusano, Ceo dell’agenzia di comunicazione Luz, specializzata proprio nella creazione di video dallo stile giornalistico e di fortissimo impatto emotivo. «L’ascolto delle emozioni», chiarisce, «non può che partire dalle persone più vicine all’azienda: i suoi dipendenti. Non possiamo creare una comunicazione empatica verso l’esterno se prima non capiamo i desideri profondi di ogni nostro singolo collaboratore. Noi per primi ci siamo messi in discussione. Ed è così, provando a dissotterrare tanti sogni sepolti, che abbiamo scelto i nostri responsabili per gli incarichi di maggiore responsabilità. Solo quando chi crea un messaggio è se stesso quello che finisce online può risultare vero. E, con sincerità, emozionare».
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