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07 Dicembre 2024 / 02:23
Attias: pagoPA? 10 miliardi di euro nel 2019, ma presto arriveremo a 200

 
Scenari

Attias: pagoPA? 10 miliardi di euro nel 2019, ma presto arriveremo a 200

di Massimo Cerofolini - 17 Ottobre 2019
Intervista a Luca Attias, Commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda digitale: "Presto anche l'Agenzia delle Entrate con l'F24 nella piattaforma unica dei pagamenti della PA. Siamo indietro con Spid, ma contiamo sull'aiuto delle banche per ripartire con questo servizio indispensabile per accertare l'identità digitale dei cittadini". Il Salone dei Pagamenti dedicherà ampi spazi ai temi dell'Italia digitale, dei nuovi servizi al cittadino, della trasformazione della PA. Tra i protagonisti dell'evento, l'amministratore della nuova pagoPA Spa, Giuseppe Virgone ...
"Le persone sono abituate a fare acquisti online all’istante e con estrema facilità, usando il semplice tocco delle dita sul telefonino. Perché quando devono pagare qualcosa a un ente pubblico debbono mettersi in coda per ore?”. È in questo confronto, un tempo impietoso, tra la velocità fulminea dei negozi elettronici e la lentezza borbonica degli sportelli fisici che si è caricata la molla per arrivare agli attuali e promettenti numeri di pagoPA, la piattaforma unica dei pagamenti della pubblica amministrazione: circa 10 miliardi di euro transati nel 2019 contro 10 milioni di appena tre anni fa. Uno dei maggiori successi, pagoPA, realizzato dal Team per la trasformazione digitale, nato nel 2016 con la guida dell’ex vicepresidente di Amazon Diego Piacentini, e ora nelle mani di Luca Attias, già responsabile dei servizi informatici della Corte dei Conti.
Dopo una partenza a razzo, pagoPA è da luglio scorso una società per azioni interamente partecipata dallo Stato, diretta da Giuseppe Virgone, architetto del sistema e colonna del Team, che sarà ospite del Salone dei Pagamenti (vedi qui). Attias, oggi Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale, dal suo ufficio presso la Presidenza del Consiglio continua però a seguire l’attività di questa che è una sua creatura, provando a integrarla con altri progetti. Lo abbiamo intervistato.

Commissario Attias, partiamo proprio da pagoPA. A che punto è il progetto?

Noi stiamo inglobando poco alla volta su pagoPA tutti i pagamenti della pubblica amministrazione. Nel 2019 saranno 10 miliardi gli euro passati sulla nostra piattaforma. Presto però entreranno altri servizi, a cominciare dal pagamento dell’F24 con l’Agenzia delle Entrate. Ed ecco che il potenziale del traffico su pagoPA salirà di molto. Stimiamo a circa 200 miliardi l’anno.

Cos’è che vi ha dato lo slancio per questa crescita?

Il tema cruciale, che vale un po’ per tutte le cose della PA, è che il cittadino sia ormai abituato a prenotare ristoranti o comprare un volo in modalità semplicissima. Ma perché, ci siamo detti, non deve valere lo stesso con gli enti pubblici? Siamo partiti da qui. E ora abbiamo toccato con mano gli effetti positivi che sono arrivati a cascata. Tanto per cominciare ci sono benefici per i dipendenti pubblici, visto che si risparmiano milioni di ore di lavoro nella conciliazione dei debiti, prima eseguita quasi a mano e ora automatizzata. Poi per le amministrazioni, che si vedono accreditati i soldi in tempo reale e che possono controllare esattamente il flusso degli importi, istante per istante, in modo da poter prendere decisioni su dati effettivi e attuali e non più soltanto ipotetici e futuri.

E per quanto riguarda il cittadino, quali sono i vantaggi?

Tantissimi. È come avere uno sportello aperto 24 ore al giorno, ogni giorno dell’anno, che non ha praticamente costi e richiede qualche istante anziché una mattinata in fila davanti allo sportello. Per non parlare del fatto che non è più necessario conservare le famigerate ricevute cartacee, che quando servono non si trovano mai. Basta un messaggio online o un sms per certificare il pagamento.

Non altrettanto felice è invece l’esito di Spid, l’identità digitale, questa sorta di super password che ci riconosce in modo certo e ci fa entrare nei servizi della PA. Era partita secondo i migliori auspici, ma oggi è difficile ottenerla, chi ce l’ha non sa che farsene e – a parte i cittadini interessati da servizi come il reddito di cittadinanza o il bonus cultura – sembra un po’ finita nel dimenticatoio. Cosa sta succedendo?

Nessuno discute dell’importanza di Spid, è un pilastro della nostra attività. È lo strumento di identificazione unica del cittadino, per cui se qualcuno entra con Spid sai per certo che è colui che ne ha titolo. Lo stesso presidente del Consiglio Conte, nel suo discorso di insediamento, ha fatto riferimento a Spid per la cittadinanza digitale. Però non possiamo nascondere che ci sono dei problemi. Non è ancora certo, anzitutto, che i cittadini in futuro non pagheranno Spid: occorre dunque chiarire che il servizio dovrà essere gratuito per sempre. Inoltre ad oggi lo Stato investe zero su questo campo. Ed è l’unico Paese europeo che su un sistema tanto delicato non mette un euro. Eppure si tratterebbe di cifre ridicole. Un investimento minimo consentirebbe ai provider che finora hanno gestito le autenticazioni di non operare più in perdita. E di fornire di conseguenza un servizio migliore. Ecco perché, in mancanza di un modello di business per gli operatori, Spid non si è evoluto. Ecco perché oggi il cittadino si trova con app non aggiornate, piene di difetti e con interfacce diverse tra i diversi gestori. Purtroppo, finché non cambia l’approccio, Spid resta un po’ abbandonato a se stesso.

Il ministro dell’Innovazione Paola Pisano, in un’intervista a Bancaforte (ndr – leggi qui), ha detto che conta molto sulle banche come modello per potenziare la presenza online dei servizi pubblici.

Lo penso anch’io. L’esperienza delle banche online ci insegna che non è complicato cambiare in poco tempo organismi abituati a muoversi secondo modelli tradizionali. Perché gli uffici pubblici non possono fare lo stesso? Non solo. Credo che le banche, grazie alla loro diffusione capillare sul territorio, possano diventare uno dei presidi strategici per rilanciare l’uso di Spid da parte dei cittadini.

Uno dei vostri progetti più ambiziosi è l’app IO, in cui pensate di concentrare tutti i servizi di qualsiasi ente pubblico. Entro fine anno dovrebbe partire la sperimentazione su tutto il territorio nazionale. Ci spieghi cosa cambierà.

È un progetto che racchiude in sé tutti i progetti di cui ho parlato finora. Quando funzioneranno bene pagoPA, Spid, l’Anagrafe unica e le altre piattaforme abilitanti potremo costruire dei veri servizi ai cittadini fruibili tramite una semplice app. Un approccio che cambia completamente il paradigma del rapporto con i cittadini. Prima la PA era al centro e “vessava” le persone che dovevano andare in giro a cercare informazioni, trovare documenti e mettersi in fila per ogni capriccio burocratico. Ora il cittadino è al centro, è lui il fruitore dei servizi che la PA mette a disposizione: può ricevere notifiche sulle scadenze, scaricare i documenti dall’app, iscrivere i figli a scuola, cambiare residenza, autenticarsi, pagare multe, imposte e tasse scolastiche, autenticarsi, fare mille altre cose utili.

Molti cittadini stanno sperimentando, con esiti controversi, la nuova carta di identità elettronica, altro asso del vostro mazzo. Come sta andando?

Tanto per cominciare, la carta di identità elettronica era una scelta obbligata se volevamo evitare la procedura di infrazione da parte di Bruxelles, visto che la nostra versione cartacea era il documento più contraffatto dell’Unione europea. Ma al di là di questo, occorre dire che è la carta elettronica è uno strumento moderno che presenta una serie di vantaggi che vanno al di là della semplice identificazione del soggetto. Le potenzialità in prospettiva sono tantissime: per esempio si potrà entrare con una strisciata della carta attraverso i tornelli dello stadio, oppure accedere a un museo, pagare la metropolitana, fare tutta una serie di altre attività. Stiamo affiancando il Poligrafico dello Stato per rendere il documento sempre più aperto a nuove opportunità. Certo, ci sono problemi nelle consegne. Alcuni comuni la rilasciano in pochi giorni, altri come Roma ci mettono mesi. Ma stiamo migliorando: persino nella Capitale, dove ancora si procede a rilento, i tempi si sono dimezzati rispetto allo scorso anno.

Veniamo all’altra grande iniziativa che state portando avanti: l’Anagrafe nazionale della popolazione residente, un unico registro digitale per tutto il territorio italiano.

È un progetto fondamentale. In Italia abbiamo 8.000 anagrafi e pensate il vantaggio di ridurle a una. Non solo dal punto di vista economico, dei risparmi. Pensate a un cambio di residenza da una città all’altra che avviene in tempo reale. O al fatto che puoi scaricare qualsiasi tipo di documento in un istante. Quindi è una lotta alla vecchia burocrazia. Quando è arrivato Piacentini c’era un solo comune iscritto all’Anagrafe nazionale, Bagnacavallo con 17 mila abitanti. Oggi siamo a 3.300 comuni registrati, più 1.900 in fase di ingresso. Quindi, entro dicembre, oltre due terzi della popolazione saranno dentro questo registro e per la fine del prossimo anno contiamo di terminare il processo coinvolgendo anche i comuni più recalcitranti. Per noi è un cambiamento epocale, perché rappresenta la base su cui costruire tutti gli aspetti della moderna PA.

Il problema degli enti pubblici su Internet sta proprio nella moltiplicazione dei servizi. Anagrafe a parte, abbiamo migliaia di siti e applicazioni quando, in gran parte dei Paesi civili, ce non sono tre o quattro dedicati a tutte le pubbliche amministrazioni. Come mai?

Ho censito almeno 14 mila accessi a siti di enti pubblici, in larga parte inutili, quasi sempre ritondanti. Il problema è che non riusciamo a fare squadra. Manca una governance. Per cui ogni singola PA finisce per creare il proprio sistema informatico. Risultato? Tante monarchie digitali assolute, incapaci di comunicare tra loro. Ognuno cioè si è costruito il proprio spazio digitale come fosse una città-Stato, con la propria piattaforma, le proprie infrastrutture, i propri data center. Eppure molte PA fanno le stesse cose e si differenziano soltanto per alcuni aspetti particolari: gran parte delle applicazioni potrebbero essere condivise da tutti.

Quali sono le conseguenze negative?

Ovviamente l’inefficienza. Ma anche la dispersione delle professionalità: abbiamo migliaia di laureati in fisica o ingegneria, magari bravissimi, che diventano esperti di procedure informatiche datate, protocolli novecenteschi tradotti in bit, e finiscono per saper fare soltanto cose che non hanno alcun valore nelle aziende private. Diventano obsoleti, perdono competenze e vanno fuori mercato. Viceversa, nel pubblico mancano professionalità assolutamente necessarie, come gli analisti dei dati o gli esperti di cloud e di intelligenze artificiali. È un problema culturale: dovremmo conoscere queste nuove professioni come oggi conosciamo le specializzazioni della medicina, dovremmo sapere cosa fa un data scientist, come sappiamo cosa fa un fisiatra o un endocrinologo.

Commissario Attias, ci parli un po’ di lei. Come è arrivato a ricoprire questo incarico?

È stato un percorso piuttosto lungo. Nell’agosto del 2016 ho conosciuto Diego Piacentini, ex vicepresidente di Amazon e all’epoca a capo del Team per la trasformazione digitale. Lavoravo sul sistema informatico della Corte dei Conti e non lo avevo mai incontrato. Mi ha contattato lui con una mail. Da lì abbiamo cominciato a collaborare in modo molto proficuo. Al punto che, quando ha deciso di andarsene, mi ha chiesto di proseguire il suo lavoro.

Adesso però è arrivata una nuova figura nel suo campo, la neoministra per l’Innovazione Pisano. Che rapporti ha con lei?

È stato proprio Piacentini, poco dopo il suo arrivo a Roma, a chiedermi di collaborare con lei, all’epoca assessore torinese proprio per l’innovazione: mi è subito sembrata una persona molto in gamba. Insieme abbiamo realizzato diversi progetti, tra cui un accordo quadro con il Comune. Quando ho saputo che sarebbe diventata ministro sono stato insomma molto felice: è un fatto significativo che sia donna, che sia giovane e che abbia un’esperienza universitaria con una competenza specifica legata all’innovazione. Insomma, ora che lavoriamo insieme, non partiamo certo da zero.

Quando lei parla della burocrazia italiana non nasconde mai il suo grave ritardo nel campo digitale, peraltro confermato da tutti i rapporti europei, in cui figuriamo sempre in coda alla classifica quanto a diffusione di Internet nei servizi pubblici. Addirittura, quando fa le sue presentazioni, mostra una foto con funzionari pubblici ritratti come uomini primitivi incapaci di usare i computer che si ritrovano tra le mani. Stiamo davvero messi così male?

I ranking internazionali sulla digitalizzazione ci mettono sempre nelle posizioni di coda insieme a Bulgaria e Romania. Diciamo che sono dati anche contrastanti, perché uno dei temi fondamentali è che siamo il Paese con il maggior numero di servizi pubblici digitali, ma con un tasso bassissimo di utilizzo da parte dei cittadini. Questo significa che abbiamo un grosso problema di diffusione delle tecnologie. Come PA digitale, dobbiamo raggiungere anzitutto quel 20% di cittadini che online non ci sono mai stati. E poi quell’altra grossa fetta di persone che usano la rete solo per cose superficiali, tipo leggere un post su Facebook e stop. Dobbiamo far capire loro che Internet può davvero migliorare la vita alle persone. Dobbiamo partire da qui, dall’inclusione. Nelle scuole, nelle università, nelle imprese. Inclusione per tutti quei disoccupati che grazie al web potrebbero trovare lavoro. Inclusione delle persone diversamente abili che potrebbero godere di tante opportunità che ora non hanno.

Altro aspetto che lei sottolinea è il rapporto inesorabile tra la carenza del digitale nel settore pubblico e la corruzione.

Il problema è che se non digitalizzi in modo corretto un Paese, inevitabilmente lo apri alla corruzione. Sono usciti molti studi internazionali sulla corruzione percepita e c’è un legame spaventoso tra questa e la mancata digitalizzazione: le linee si muovono praticamente in parallelo, dove aumenta l’una, cresce anche l’altra. Ecco, io credo che tra i tanti vantaggi dell’opera di digitalizzazione su cui siamo impegnati ci sia anche questo: mettere gli enti pubblici online per renderli sempre più trasparenti.
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