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25 Aprile 2024 / 18:08
Airbnb fa boom ma scatena mille problemi

 
Fintech

Airbnb fa boom ma scatena mille problemi

di Mattia, Schieppati - 8 Marzo 2017
I numeri della piattaforma di affitti brevi fanno discutere. L’Italia, al terzo posto al mondo per offerta di abitazioni, è chiamata a dare una normativa certa (e una fiscalità) a questa nuova economia. Che ha un forte impatto su tutta la filiera del turismo e sul mercato immobiliare ...
Anche Berlino ha messo il veto: i proprietari di alloggi potranno affittare solo camere, non intere abitazioni, per dare in locazione le quali ci vorrà invece un’apposita licenza. Una decisione che segue l’analoga stretta imposta dalla municipalità di Barcellona, e che è stata adottata anche da Amsterdam. Comincia una stagione difficile, dal punto di vista legale, per Airbnb, la più celebre piattaforma di affitto temporaneo di alloggi tra privati e uno dei simboli (insieme a Uber, ugualmente al centro della bufera e delle polemiche) della sharing economy. Fondata nel 2008 a San Francisco e diventata oggi un gigante che gestisce alloggi in 34 mila città del mondo, Airbnb dà ospitalità a 60 milioni di viaggiatori ogni anno. Il tutto mentre il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, nel corso di un'audizione di fronte alle Commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato in vista della prossima manovra finanziaria, lascia trapelare l’ipotesi di una tassa su Airbnb «che è fonte possibile di reddito».
In quasi tutti i Paesi l’assenza di regole o regolamenti incompleti, trattandosi di un fenomeno nuovo, dalle dinamiche assolutamente inedite, ha facilitato enormemente le nuove espressioni della sharing economy, che ha prosperato a scapito di settori di business tradizionali, sottoposti a vincoli legali e fiscali in qualche modo penalizzanti. Siamo alla vittoria di un’economia nuova, fresca, leggera, oppure a un semplice caso di concorrenza sleale dove chi deve sottostare a meno regole e controlli fa una fortuna, mentre l’albergatore o il tassista soffocano schiacciati da tasse e burocrazia?
Il discorso è complesso e dimostra come l’impatto dei nuovi modelli economici nati dal digitale stia cambiando le regole e imponendo nuovi tipi di ragionamento. Il fenomeno Airbnb, proprio per la sua forte penetrazione nella realtà italiana (a differenza di Uber presente in maniera marginale, solo a Roma e Milano), è in questo senso un ottimo caso scuola.

Italia al terzo posto per offerta

Gli unici numeri ufficiali rilasciati da Airbnb, e disponibili per fotografare il fenomeno in Italia sono quelli contenuti in un paper del luglio 2016, che riporta i dati relativi alla fine del 2015 (leggi qui), ripresi e riportati dal Sole24Ore. La piattaforma è stata utilizzata per soggiorni in Italia da 3,6 milioni di persone, mentre sono 1,34 milioni gli italiani che hanno viaggiato all’estero usando Airbnb: un indice di quanto i consumatori stranieri siano già abituati a questo servizio. Sono quasi 83 mila gli italiani proprietari di alloggi (i cosiddetti “host”) che hanno messo in affitto la propria abitazione o una porzione di casa su Airbnb, guadagnando complessivamente 394 milioni di euro. L'Italia è il terzo paese al mondo per offerta di abitazioni sulla piattaforma, dopo Stati Uniti e Francia. Ogni ospite rimane in un appartamento affittato con Airbnb in media 3,6 notti (negli hotel il valore è di 3,0); il 73% degli annunci riguarda abitazioni intere e solo il 26% stanze private; solo l’1% sono stanze condivise. Interessante anche il profilo degli host italiani: hanno in media 43 anni, mentre il 31% ne ha oltre 50.
In questo report Airbnb evidenzia come il sistema “sharing” sia un importante volano economico aggiuntivo rispetto ai flussi turistici consolidati: il 28% degli ospiti stranieri «senza Airbnb non si sarebbe recato in Italia o comunque si sarebbe fermato meno a lungo», sostiene il report, e addirittura il 75% sarebbero «più propenso a tornare grazie all’esperienza vissuta con Airbnb». Non solo: gli ospiti di Airbnb, durante la loro visita, spendono in media 738 euro in ristoranti e bar», riporta la ricerca, evidenziando la rilevante ricaduta sull’indotto. Dal 2008, anno di inizio del servizio, alla fine del 2015, è stimato in 3,4 miliardi l’impatto economico complessivo portato da questa nuova economia.

Il “mistero” dei numeri

Ripetiamo: si tratta di cifre rilasciate dalla stessa azienda, e quindi assolutamente “ufficiali” da questo punto di vista. Ma se tutto fosse così lindo e cristallino, i problemi sarebbero limitati. La questione è che però, nella realtà, tra i numeri dichiarati e il reale giro di alloggi e di affari degli italiani che affittano su Airbnb ma poi non certificano la loro attività sembra esserci una forbice molto ampia. La denuncia sulle irregolarità arriva da Federalberghi in un monitoraggio presentato nell'autunno scorso in apertura del TTG Incontri a Rimini. Secondo l’associazione degli albergatori, il portale Airbnb ad agosto 2016 poneva in Italia 222.786 alloggi in offerta, ma si rileva «una significativa variazione del numero di attività ufficialmente autorizzate, in quanto le strutture extralberghiere censite dall'Istat nello stesso periodo risultano essere 121.984».
I conti insomma tra dati ufficiali dell'Istat e dati rilevati su Airbnb non tornano, e pur tra mille variabili e margini di errore, gli alloggi messi in affitto sulla piattaforma sono molti di più di quelli effettivamente certificati. Tanto che la posizione di Federalberghi, secondo quanto dichiarato dal presidente Bernabò Bocca, è netta e insiste verso una regolamentazione certa di numeri, obblighi e doveri: «Il sommerso nel turismo prosegue indisturbato la propria corsa generando una minor sicurezza sociale e il dilagare indiscriminato dell'evasione fiscale e del lavoro in nero», dice Bocca. «Il Piano strategico del turismo afferma a chiare lettere la necessità di definire un quadro normativo e regolamentare che contrasti efficacemente il fenomeno dell'abusivismo. Confidiamo che si passi presto dalle parole ai fatti».

Investire con Airbnb: Durban al primo posto

Che Airbnb sia un business che è decisamente andato al di là delle premesse iniziali (fare della condivisione di abitazioni una formula alternativa del viaggiare) è testimoniato anche dalla ricerca effettuata a livello internazionale della società di consulenza immobiliare britannica Nested, che ha posto una questione reale: visto l’andamento del mercato immobiliare (al ristagno) e l’estrema convenienza dei mutui per acquisto abitazione, non è che forse acquistare un appartamento e metterlo a reddito attraverso Airbnb rappresenti l’investimento più intelligente e proficuo che oggi si possa fare?
Con questa premessa, è stata stilata la classifica (clicca qui) che mette a confronto, città per città, le località dove attraverso l’affitto via Airbnb si può ammortizzare in minor tempo il costo d’acquisto. In Italia la più conveniente è Milano, 61esima al mondo. Nel capoluogo lombardo bastano 175 mesi (circa 15 anni) con un Airbnb per rientrare dall’acquisto di un trilocale, mentre con un normale affitto fisso i mesi diventerebbero ben 495, cioè oltre 40 anni. A Roma, 70esima, ne servono 218 di mesi (18 anni) con un Airbnb, a fronte dei 537 con un inquilino fisso (quasi 50 anni). Nel mondo invece, tra le 75 città prese in considerazione, vince il Sud Africa. Prima in classifica infatti è Durban, mentre al quinto posto c’è Johannesburg. Una casa a Durban impiega solo 18 mesi a ripagarsi con un Airbnb, a fronte di 167 mesi con la locazione a lungo termine. A Johannesburg servono 33 mesi e 180 con l’affitto normale. La classifica anche in questo caso è stata realizzata a scopi promozionali (il committente è appunto un’azienda immobiliare), che si basa però su dati della Banca Mondiale e di Hsbc relativi alla disponibilità sul mercato di abitazioni trilocali in contesto urbano nel corso di 6 mesi di rilevamento. Non è statistica pura, insomma, ma è sufficiente per dare l’idea di come Airbnb non riguardi solo situazioni temporanee di affitto mordi e fuggi, ma possa essere la base anche per ragionamenti più strutturati e strategici di investimento.

Il caso Barcellona

Di fronte a questo tipo di volumi, a questo impatto globale e a queste leve capaci di cambiare potenzialmente anche le dinamiche di un mercato forte e consolidato come quello immobiliare (che significa, inevitabilmente, anche un impatto su altri comparti, come quello dei mutui e dei vari incentivi fiscali e finanziari a ristrutturazioni, … ) ha ancora senso parlare di “sharing economy”? O si tratta piuttosto di un settore economico vero e proprio, che deve essere quindi riportato sotto le regole di tutti gli altri tipi di economia?
Boom di Airbnb a Barcellona: +40% per un totale di 1,24 milioni di visitatori
Ultimo caso ad accendere l’attenzione sulla necessità di strutturare regole condivise per normare questo tipo di mercato viene da Barcellona, quarta destinazione in Europa preferita dagli utenti Airbnb, dopo Parigi, Londra e Roma. E arriva dopo un anno, il 2016, che ha fatto segnare per la Spagna un record del turismo che ha utilizzato la piattaforma: secondo i dati riportati da eMarketer, gli ospiti che hanno usato Airbnb per il loro soggiorno in Spagna sono aumentati dell’82% rispetto all’anno precedente, per un totale di 5,4 milioni di persone. A Barcellona l’incremento è stato del +40%, per un totale di 1,24 milioni di visitatori, e proprio questa crescita esponenziale potrebbe avere, secondo i critici, due conseguenze: un drammatico svuotamento del centro storico (gli abitanti trovano più remunerativo affittare le loro case ai turisti e recarsi altrove) e ha fatto scattare la protesta degli operatori turistici tradizionali. Tanto che l’assessore all’Urbanistica della città catalana ha annunciato che «bisogna mettere un limite alla vicenda, per evitare che il centro storico di Barcellona diventi un luna park ad uso turistico, ma si ritrovi privo dei suoi abitanti: dobbiamo regolamentare questo nuovo turismo in modo che sia compatibile con la realtà cittadina e sostenibile per i suoi abitanti». Un problema, del resto, che riguarda anche Roma (leggi qui).

Tante regolamentazioni locali, ma il legislatore italiano ...

La normativa più restrittiva già in vigore, e mirata proprio a evitare questa modifica anche sociale dei tessuti urbani, è quella in vigore a Berlino: tramite Airbnb possono essere affittate solo camere, non intere abitazioni: per affittare l’intera casa ci vorrà una licenza che solo 6 mila proprietari hanno richiesto, trasformandosi di fatto in b&b regolari. Altra strada quella seguita da Parigi: qui un privato non può affittare la casa su Airbnb per più di 4 mesi all’anno, e l’amministrazione comunale ha stretto un accordo con Airbnb per il pagamento della tassa di soggiorno (il che avrebbe portato nelle casse del del Comune, da ottobre 2015 alla fine del 2016, qualcosa come 5,5 milioni di euro).
Anche in Italia la regolamentazione è stabilita per ora a livello regionale. A fare da capofila la Lombardia, prima a “mettere in regola” gli affitti digitali (qui l’approfondimento su Bancaforte sulla normativa varata), ma sul ricco mercato di Airbnb sta mettendo gli occhi, in vista della prossima Finanziaria, anche il Parlamento. Tra le richieste arrivate lo scorso novembre dalle Commissioni della Camera dei Deputati c’era anche una norma che prevede l’introduzione di un registro nazionale e la cedolare secca al 21% per gli affitti di case tra privati. Tali emendamenti, ribattezzati proprio “Airbnb”, avevano già ricevuto il via libera dalla Commissione Finanze: secondo tale ipotesi, tutti i siti che mettono in contatto proprietari e affittuari dovrebbero fare da sostituti d’imposta, riscuotendo una cedolare secca del 21% sulla transazione, aliquota valida anche per le locazioni di breve periodo. L’allora Presidente del Consiglio Renzi si espresse in maniera contraria alla normativa, ma i tempi e i governi ora sono cambiati. Il ministro Padoan, come sopra indicato, non ha espresso la sua contrarietà, sottolineando però che, affinché una regolamentazione funzioni, deve essere applicata «da più Paesi». Inoltre «ci sono difficoltà nell’individuare la base imponibile», ma «ribadisco l’impegno a esplorare questi canali», ha detto il ministro.
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