Tecnologia per l'open banking
di Flavio Padovan
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18 Febbraio 2020
Le soluzioni di Tas contribuisco in modo significativo allo sviluppo delle nuove funzionalità della piattaforma Cbi Globe, permettendo di superare l'assenza di standard per le interfacce da esporre ai Tpp. Ne parla il Direttore Global Payments Massimiliano Quattrocchi, sottolineando l'importanza per le banche italiane di accompagnare con convinzione l'evoluzione del mercato per continuare ad essere protagoniste
Qual è il ruolo di TAS nell'offerta delle nuove funzionalità della piattaforma Cbi Globe?
“Siamo partner di Nexi, che ha vinto la gara indetta dal Cbi come player tecnologico del progetto. In particolare, contribuiamo all'offerta delle nuove funzionalità con TAS Tpp Enabler, soluzione dedicata alle terze parti che offre una facile integrazione “out-of-the-box” con gli standard API emergenti nel mercato dell’open banking. Di fatto, permettiamo il colloquio con tutte le banche, ovvero gli istituti di radicamento del conto o Aspsp - Account servicing payment service provider”.
Qual è il valore di questa soluzione?
“La normativa non ha definito la standardizzazione delle interfacce che le banche devono esporre ai nuovi attori. Quindi c'è stata un'ampia varietà di risposta a livello nazionale ed europeo, nonostante iniziative di aggregazione come il Berlin Group o l'Open banking in Gran Bretagna. Oggi una terza parte deve interfacciarsi con tutti i gateway e armonizzare le informazioni, altrimenti non è in grado di offrire il servizio multibanca al suo cliente. E solo in Italia, a parte il Cbi Globe, ci sono circa 15 gateway dove le banche espongono i loro servizi. Questo rende tutto molto complicato, se non impossibile”.
Può farci un esempio?
“Consideriamo l'autenticazione del cliente. Ogni banca ha la sua procedura e senza un'armonizzazione diventa praticamente inutile un servizio di account aggregator offerto da una terza parte perché il cliente dovrebbe effettuare tutte le singole autenticazioni. Uno dei moduli della nostra soluzione, SCA Manager, è un layer che permette di superare questo ostacolo, consentendo di inserire le informazioni su una sola pagina, con un “look&feel” simile per diverse banche. Di fatto tutti questi layer che la normativa non ha definito diventano barriere per le terze parti e l'offerta di servizi innovativi. Solo armonizzando i linguaggi si superano i fortissimi gap tecnologici e di integrazione oggi esistenti liberando le potenzialità della PSD2 e trasformando un disegno normativo in possibilità di sviluppo”.
Qual è il lavoro che avete svolto per armonizzare il dialogo Tpp - Aspsp?
“È stato un attento lavoro di verifica banca per banca, per superare le discrepanze che abbiamo rilevato dai test effettuati nelle sandbox delle banche rispetto agli ambienti effettivi di produzione. Un'attività molto lunga, ma necessaria per armonizzare lo scambio di informazioni, altrimenti impossibile. Il mercato è molto attento a questo aspetto, perché siamo in una fase in cui l'interesse non è tanto sulle operazioni dispositive, ma sulle informazioni relative al cliente finali, per utilizzare questi dati finanziari per la clusterizzazione, per capire meglio i suoi comportamenti di spesa e offrire servizi mirati”.
C'è interesse a livello europeo verso la vostra soluzione?
“Assolutamente sì. D'altronde questa è la base dell’open banking, quindi del mercato dei prossimi 20 anni. Pur con gli ovvi tempi tecnici di migrazione, si sta andando verso un nuovo modello di servizi bancari e un'unificazione dei pagamenti digitali, senza distinzione tra quelli interbancari e quelli con carta. Una convergenza trainata proprio dall'open banking e che aumenta per le banche il rischio di essere disintermediate. Perché il cliente avrà sempre più interesse ad avere una relazione ad esempio con Amazon o con Esselunga che utilizza tutti i giorni, rispetto ad avere un conto corrente in una banca”.
Che cosa possono fare le banche per evitare di essere disintermediate?
“Accompagnare questa evoluzione. Di fronte a questi cambiamenti la reazione può essere cercare di ostacolarla oppure guidarla. L'apertura è sicuramente un rischio, ma è l'unico modo per restare protagonisti. In Italia ci sono ancora pochi esempi di servizi di open banking in produzione da parte delle banche, nonostante la normativa non sia certo nuova. Restare in difesa per capire come cambierà lo scenario non aiuta, perché così si lascia campo libero a nuovi operatori, come dimostra il caso Revolut”.
Qual è lo stato dell'open banking nel mercato italiano?
“Il mercato italiano non è ancora proattivo. L'open banking è una realtà e le banche devono cercare di cogliere le nuove opportunità o rischiano di essere cannibalizzate un poco alla volta dai nuovi attori. Revolut non offre servizi incredibili, eppure sta crescendo in modo sorprendente. Le banche devono smettere di pensare da banche e devono scendono in campo con decisione nel nuovo scenario perché hanno tutte le potenzialità per restare protagoniste”.