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28 Marzo 2024 / 19:37
Restituire la bellezza

 
Banca

Restituire la bellezza

di Mattia Schieppati - 19 Dicembre 2019
Compie trent’anni Restituzioni, il programma promosso da Intesa Sanpaolo, in collaborazione con le Sovrintendenze alle Belle Arti, di restauro di opere d’arte celebri e meno note del patrimonio pubblico italiano. Oltre 1.300 i capolavori recuperati: un ideale museo diffuso che rappresenta un costante impegno di attenzione ai territori ...
Forse la cosa più bella, in questa storia popolata di cose belle e bellissime (oltre 1.300!), è il nome. «Restituzioni», un sostantivo che esprime due concetti. Primo concetto, la bellezza e quei frutti dell’ingegno che sono le opere d’arte non possono essere incasellate nella logica della proprietà, del possesso, ma sono creature destinate ad andare oltre, attraversando i secoli, prese e restituite col succedersi delle generazioni. Sono, fin dalla loro nascita, un lascito destinato al futuro. Secondo concetto, qualsiasi impegno volto al bene comune non può che basarsi sulla volontà di “restituire” agli altri una parte di quel vantaggio che il destino, le contingenze o la bravura ci hanno concesso. È la regola ormai consolidata della filantropia che chiama a una responsabilità continua verso l’altro.
Pochi nomi potevano dunque essere più centrati di Restituzioni per definire il programma biennale di restauri di opere d’arte appartenenti al patrimonio del Paese promosso e curato da Intesa Sanpaolo. Un progetto che compie quest’anno i suoi trent’anni di vita, un vero e proprio record nel panorama dei programmi filantropici delle banche: l’idea nacque in seno all’allora Banca Cattolica del Veneto, nel 1989, dall’allora presidente Feliciano Benvenuti, e prese avvio con il restauro di 10 opere d’arte del Veneto. 
Uno spunto lungimirante e vincente, che univa la vocazione delle banca a essere un “alleato” concreto delle progettualità del territorio ma nel contempo esprimeva un’attenzione “alta” verso quel patrimonio di bellezza, cultura, storia, passione e intelligenza espresso dalle opere d’arte, un tesoro per il Paese e simboli di appartenenza per le comunità.

Un museo ideale

Se il Dna è rimasto quello, Restituzioni è cresciuto in maniera dirompente negli anni, accompagnato dallo sviluppo del Gruppo Intesa Sanpaolo, all’interno del quale confluì la Banca Cattolica del Veneto e, con lei, questa perla di impegno. «Se lo guardiamo con l’occhio dell’oggi, è un progetto che sorprende – prima ancora che per i numeri che ha macinato in trent’anni – per la sua lungimiranza» spiega Silvia Foschi, architetto, responsabile del servizio Patrimonio Storico Artistico e Attività Culturali di Intesa Sanpaolo, dal 2002 responsabile del progetto Restituzioni. Il meccanismo, ormai consolidato, è efficiente ed efficace: ogni due anni Intesa Sanpaolo invita gli enti ministeriali preposti alla tutela (Soprintendenze, Poli Museali, Musei autonomi) a definire e sottoporre progetti di restauro per opere - di qualsiasi tipologia, dimensione, livello di “celebrità”   -  bisognose di interventi conservativi.  
Un comitato scientifico guidato da critici e curatori di fama mondiale come Carlo Bertelli, Giorgio Bonsanti e Carla Di Francesco valuta i progetti, seleziona i più meritevoli e Intesa Sanpaolo predispone, oltre al finanziamento dell’intervento, un percorso di accompagnamento che prevede - al termine dei lavori - una mostra delle opere restaurate e la pubblicazione di un catalogo dove storici dell’arte e archeologi lavorano per mettere a disposizione di tutti gli aggiornamenti scaturiti dalle ricerche effettuate. Una doppia restituzione, insomma: dell’opera alla sua bellezza, e dell’opera al pubblico che ne può di nuovo godere.
Dal 1989 ad oggi, sono oltre 1.300 le opere “restituite” alla collettività: «una sorta di ideale museo» lo definisce Foschi, con testimonianze che spaziano dalle epoche proto-storiche fino all’età contemporanea, dall’archeologia all’oreficeria, alle arti plastiche e pittoriche. Sono più di 200 i musei, i siti archeologici, le chiese, garanti della destinazione pubblica dei propri tesori, che hanno beneficiato di questo programma, oltre 150 i laboratori di restauro qualificati, distribuiti da Nord a Sud, incaricati dei restauri ed altrettanti gli studiosi coinvolti nella redazione delle schede storico-critiche per i cataloghi. Un curriculum a cui si aggiungono gli interventi di restauro realizzati su opere di scala monumentale come, ad esempio, i mosaici pavimentali paleocristiani della Basilica di Aquileia, gli affreschi di Altichiero e Avanzo nella Cappella di San Giacomo nella Basilica del Santo a Padova, gli affreschi di Lanfranco della Cappella di San Gennaro nel Duomo di Napoli, il restauro della Casa del Manzoni, a Milano.
 

 Le opere: un valore per le comunità

Grandi nomi che hanno fatto la storia dell’arte e opere pressoché sconosciute conservate in piccoli oratori di campagna, o in musei periferici lontani dalle rotte del turismo culturale. La forza di Restituzioni sta proprio in questa capillarità e sensibilità nell’effettuare le scelte degli interventi, unendo la forza d’attrazione del grande nome, che garantisce a ogni edizione del progetto la necessaria visibilità, all’attenzione per opere che viaggiano sotto i radar della notorietà, ma hanno un altissimo valore per le comunità locali cui vengono restituite. «Per ogni edizione riceviamo 300-400 candidature di progetto, un numero che è cresciuto negli ultimi anni, con il calare delle risorse sia pubbliche che private destinate alle attività di conservazione. La scelta delle opere segue un unico criterio: ascoltare le esigenze dei territori per valorizzarne l’identità attraverso interventi che privilegino l’effettiva necessità e urgenza del restauro», spiega Foschi. «L’obiettivo è sempre quello di recuperare manufatti rappresentativi della varietà del patrimonio storico-artistico italiano, sia in termini cronologici sia in termini di materiali e tecniche: pittura su tavola e tela, affreschi, mosaici, scultura in marmo o pietra, in bronzo, manufatti tessili, oreficeria. Non si tratta soltanto di capolavori d’indubbia risonanza, ma anche di opere che sono vicine a noi e contribuiscono a costruire il vissuto del territorio».
È evidente come questo impegno richieda una forte capacità di fare rete, oltre che con le Sovrintendenze, con quel network di eccellenze rappresentato dai professionisti e dai laboratori di restauro, uno dei grandi tesori di conoscenza e competenza italiani. «Più che un singolo specialista, a collaborare ai lavori di restauro sono task force multidisciplinari», racconta Foschi. «Ci sono tecnici qualificati per ogni supporto, dagli argenti alle tavole, dai tessuti alle terrecotte. Ci sono fisici e chimici impegnati nella diagnostica; una équipe di scienziati che conduce analisi ai raggi. Come per Caravaggio e il Cavaliere di Malta arrivato da Palazzo Pitti, per esempio. Si sono studiati gli strati di pittura nascosta per vedere se, in corso d'opera, il maestro avesse cambiato qualche dettaglio».

 Il senso del restauro

«“Restituire” comporta un senso di appartenenza recuperata, di riappropriamento di qualcosa che era nostro e che avevamo perduto. Nel caso del restauro di opere d’arte o comunque di manufatti aventi valore di bene culturale, la perdita evidentemente non era totale, e consentiva dunque di reinnescare il processo di restauro. Ciò che si era perso era la capacità dell’oggetto di trasmettere il proprio messaggio nella intera misura in cui ciò gli sarebbe stato possibile, grazie appunto alla materiale realizzazione di un restauro. Negli anni sono passate da Restituzioni opere fra le più disparate, per tipologie come per stato conservativo: in alcuni casi si trattava di reperti in condizioni apparentemente disperate, ai limiti della possibilità di riconoscerli ed identificarli, ma in altri invece si è operato su manufatti (soprattutto dipinti importanti di grandi autori) che una loro leggibilità in massima parte già la possedevano, e si trovavano esposti all’ammirazione del pubblico e alle analisi degli studiosi. In quei casi il discorso si faceva allora più articolato, e chiamava a misurarsi con alcuni concetti fondamentali fra quelli che caratterizzano le complesse operazioni che definiamo come restauro» ha scritto Giorgio Bonsanti, uno dei membri del Comitato Scientifico di Restituzioni, rendendo il senso dell’impegno a 360 gradi che richiede questo progetto. «I Comitati scientifici che in questi anni hanno avuto il compito di indirizzare le scelte dell'istituto bancario nel programma di Restituzioni, hanno dovuto muoversi in maniera differenziata. Alternando cioè le proprie opzioni fra interventi di assoluta urgenza per la stessa sopravvivenza fisica dell’oggetto, e altri il cui scopo era sostanzialmente quello di impedire l’insorgere di danni più gravi, bloccandoli sul nascere, relativamente ad opere di grande importanza storico-artistica, oppure addirittura di ristabilirne l’assetto estetico ottimale, tale da consentire loro di corrispondere efficacemente alle potenzialità di comunicazione integrale dei propri contenuti. Nel concetto complesso di restauro che favoriamo oggi, comprendente tutto l’arco delle operazioni che stanno attorno alla conservazione materiale di un manufatto a valore di cultura, si contiene il massimo come il minimo, purché finalizzato alla conservazione integrale dei valori materiali e immateriali dell’oggetto».

Un percorso comune

«Fin dall’origine, e ancora oggi, il senso che vogliamo dare a Restituzioni è quello di una partecipazione piena e attiva di Intesa Sanpaolo a tutto il percorso. Non si tratta banalmente di staccare un assegno e finanziare un restauro; il desiderio è quello di costruire un percorso con tutti i soggetti che si occupano della bellezza del nostro Paese, e dare una risposta alle esigenze che emergono dalle comunità territoriali, di cui si fanno portavoce le singole Sovrintendenze e gli enti ministeriali che operano a livello locale».
La rubrica doGood, realizzata in collaborazione con doValue, racconta le tendenze e le buone pratiche nel campo della Csr, in particolare delle realtà bancarie, finanziarie e assicurative. La rubrica vuole essere una rassegna in presa diretta, attraverso le testimonianze dei protagonisti di come l’impegno delle aziende verso le comunità di riferimento diventa un’importate leva di crescita personale e professionale. 
 
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