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30 Dicembre 2024 / 17:24
Nft, il successo e le ombre dei certificati digitali

 
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Nft, il successo e le ombre dei certificati digitali

di Massimo Cerofolini - 19 Aprile 2022
Crescono le applicazioni dei Non Fungible Token, capaci di garantire l’unicità e l’autenticità dei beni digitali. Arte, videogiochi e moda i campi di maggior successo, ma anche il governo di Kiev li usa per sostenere l’esercito. In mancanza di norme le autorità europee avvertono: attenzione alle frodi
Da una parte c’è il caso dell’avvio del MetaHistory Museum, il museo lanciato dal ministero della Trasformazione digitale di Kiev per mettere in vendita opere su Nft con lo scopo di sostenere l’esercito e la popolazione ucraina nel conflitto in corso (dopo aver raccolto cento milioni di euro con donazioni in criptovalute). Mentre, sul fronte opposto, cresce l’acquisto di creazioni digitali certificate sulla blockchain da parte di oligarchi russi che provano così a eludere le sanzioni dell’Occidente contro l’invasione voluta da Putin.
Anche nella tragedia della guerra i Non fungible token, gli Nft appunto, confermano il loro ruolo di primo piano sullo scenario confuso dei nostri tempi. Parola dell’anno 2021, secondo il dizionario Collins, questi certificati digitali sono capaci di attestare l’autenticità, la titolarità e l’unicità di beni presenti online, che per loro natura sarebbero altrimenti replicabili e duplicabili all’infinito. Caricati sulla tecnologia blockchain, la catena di blocchi che registra e fa girare in modo sicuro e irreversibile le monete virtuali come i bitcoin, gli Nft hanno preso le mosse proprio dal mondo dell’arte ma stanno espugnando campi diversi come la moda, la musica, i videogiochi e il settore immobiliare, con la complicità di un’altra star emergente nel web, il metaverso, il mondo parallelo fatto di pixel dove attraverso i propri avatar le persone si muovono, interagiscono, imparano, assistono a concerti. E soprattutto spendono.
A questo punto, per molti esperti, la domanda non è più se si tratti o meno di una grande bolla, perché di bolle localizzate ce ne sono e ce ne saranno sicuramente tante, ma il fenomeno nel complesso è destinato a durare. La domanda semmai è come distinguere le realtà affidabili dalle mode passeggere, dalle tante possibili frodi e dagli investimenti sconsiderati?
Andiamo con ordine. Partiamo da un anno fa quando questa sigla di tre lettere, conosciuta fino a quel punto soltanto tra rari addetti ai lavori, si impone all’attenzione dei media. Merito di un artista, Beeple, che vende la sua opera digitale (nella foto che apre questo articolo), un collage di 5000 file caricato sulla blockchain, per la cifra astronomica di 69 milioni di dollari, più di quanto valgono le Ninfee di Monet. Da quel momento sugli Nft si aprono i fari e nel giro di pochi mesi si registrano altri acuti. Come quello del Bored Ape Yacht Club (immagine sotto), la raccolta in edizione limitata di token non fungibili, poggiata sulla blockchain di Ethereum, con le 10 mila immagini del profilo di scimmie dei cartoni animati generate da un algoritmo (quotate in qualche caso oltre un milione di dollari).
“In pratica – scrive il New York Times - una strana combinazione tra un’esclusiva comunità online, un gruppo di azionisti e un’associazione di appassionati d’arte”. Ma come è possibile considerare capolavori degni di cifre siderali queste e altre creazioni, tipo i gattini con la coda arcobaleno, che non verrebbero da associare ai geni del Rinascimento o dell’Impressionismo? Gli storici dell’arte storcono la bocca, di robe destinate a finire sui manuali nel futuro, dicono, non se ne vedono ancora. Ma il punto è che in un libero mercato qualcosa vale per il valore che gli viene dato. Sia questa un cappello stropicciato ma messo una volta da Maradona, o siano oggetti che non si possono toccare e che sono fatti soltanto da codici scritti su internet. Se per qualche ragione qualcuno ci tiene a esserne l’unico possessore può non esserci prezzo.
Spiega Serena Tabacchi, per tanti anni collaboratrice del museo Tate Modern di Londra e ora direttrice del Museo di arte contemporanea digitale: «Gli Nft stanno giocando un ruolo fondamentale nella promozione degli artisti, specie di quelli che propongono video e animazioni online. Da tempo, infatti, l’arte digitale circolava in rete, ma essendo duplicabile da chiunque privava gli autori del proprio valore. Ora con la blockchain si può certificare l’unicità di un’opera: tutti possono vederla ma soltanto uno può considerarsi il vero titolare. È il corrispettivo della firma apposta dall’autore sulla tela, con la differenza che passa tra una copia di Van Gogh sulla tovaglietta e il suo originale al museo».
Ma non solo. Aggiunge Eleonora Brizi, curatrice d'arte digitale e crypto-gallerista: «Sulla blockchain vengono registrati nel tempo tutti i successivi passaggi di proprietà dell’opera ed è possibile sapere se questa magari è passata per le mani di qualche celebrità che ne accresce il valore. In più su ogni transazione futura viene automaticamente versata una percentuale all’autore. In questo modo un artista oggi sconosciuto, nel caso le sue quotazioni crescano, può contare su un compenso in continuo aggiornamento».
Per i musei, poi, la tecnologia sta diventando un sistema per raccogliere fondi e allargare il pubblico. La startup Werea, per esempio, ha lanciato AerariumChain, una tecnologia per offrire alle istituzioni e ai custodi di opere d’arte un processo che prevede la scansione in 3D delle opere e la generazione di un’immagine unica virtuale, da collocare sulla blockchain e messa in vendita sulle piattaforme specializzate. Collaborazioni di questo tipo sono in corso con il Museo Egizio, Palazzo Reale di Milano e il Museo Diocesano di Mantova. Mentre gli Uffizi hanno venduto per 140 mila euro una copia virtuale del Tondo Doni di Michelangelo ospitata sulla blockchain dall’azienda Cinelli.
L’altro mondo che ha scommesso in massa sugli Nft è quello della moda, reduce dalla prima Fashion week tenuta in forma virtuale sulla piattaforma Decentraland a fine marzo, con marchi in passerella come Cavalli, Hogan, Paco Rabanne o Dolce&Gabbana (quest’ultimo ha realizzato un’intera collezione di abiti in token venduta per oltre cinque milioni e mezzo di dollari). Meglio ancora ha fatto Nike, approdata sul metaverso di Roblox con uno spazio chiamato Nikeland: in appena sette minuti, per quasi 3 milioni di euro, ha smerciato una quantità enorme di sneakers che si possono indossare soltanto all’interno del videogioco. A molti farà sorridere, e qualcuno anche indignare, ma per i giovani delle nuove generazioni l’aspetto con cui mostrarsi tramite il proprio avatar in un videogame ha spesso più valore di quello con cui andare a scuola. E per loro non c’è che l’imbarazzo della scelta, vista la presenza di negozi virtuali Louis Vuitton su League of legend, di Gucci su Roblox o di Balenciaga su Fortnite (nell'immagine sotto).
E intanto, grazie al coinvolgimento acceso dai giornali sul metaverso, gli Nft hanno conquistato un posto regale anche in un altro settore strategico: quello immobiliare. Con la vendita di terreni e appartamenti immaginari a prezzi analoghi a quelli fatti di mattoni. Marco Verratti, il difensore della Nazionale di calcio, ha comprato per esempio una delle 25 isole digitali messe in vendita su The Sandbox da Exclusible, marketplace specializzato in token di lusso, che permette di ‘abbellire’ la sua isola con eliporti, porti privati e tante altre personalizzazioni («Ho deciso di investire nel metaverso perché mi piace anticipare quello che un giorno diventerà di uso comune: qualche anno fa, nessuno avrebbe mai immaginato che il cellulare sarebbe diventato un oggetto indispensabile», ha risposto il calciatore agli scettici).
Idem con la musica. Dai Kings of Leon a Grimes, da Achille Lauro a Mahmood, si è perso il conto dei cantanti che hanno registrato brani su Nft, per rendere uniche e irriproducibili porzioni del loro lavoro. Un po’ come nel Settecento Bach e i suoi colleghi componevano brani per la singola famiglia consegnando soltanto a questa un determinato spartito. Dice Nitro, rapper della scuderia Machete Crew, fondata da Hell Raton, Salmo e Slait, che sta sviluppando progetti musicali con i tocken Nft: «Per noi artisti, oltre a una forma di retribuzione svincolata dalle grandi piattaforme musicali, poco generose con gli autori, c’è poi un valore legato alla nostra comunità. Chi acquista un nostro Nft, non solo investe in qualcosa che magari in futuro aumenterà di valore con il successo del cantante o della band, ma accede a una serie di servizi in esclusiva che rafforzano i legami tra persone che condividono la stessa visione delle cose: incontri personali col cantante, posti in prima fila, anteprime e via dicendo».
E nell’uso di token per cementare con contenuti speciali la propria community credono ormai in molti. Dall’imprenditore digitale Marco Montemagno al ristorante di sushi Oishi Japanese Kitchen di Pescara, passando per i registi di Unleyek in cerca di finanziatori del documentario The Minted Series, per le membership di diverse palestre milanesi o per la cantina Maia Wine che ha creato il primo Avatar Nft nel mondo del vino. La promessa è semplice: compri il mio Nft, che ha anche una certa estetica da esibire, investi in qualcosa che potrà aumentare di valore ed entri in un giro di gente a te affine con una serie di privilegi per stare meglio insieme. 
In fondo, tecnicamente, ogni cosa presente su internet può diventare un Non fungible token: che sia una foto, un testo, una musica o un video. Sono finiti e commerciati su Nft le prime pagine del New York Times o le versioni iniziali di Wikipedia, ma anche il primo tweet di Jack Dorsey, il fondatore di Twitter (venduto per 2,9 milioni di dollari) o il codice sorgente del web scritto da Tim Berners-Lee. Così come foto di modelle, rumori di patatine virtuali, pezzi del genoma umano, reperti di Napoleone, figurine sul genere del Fantacalcio (grazie alla piattaforma di Sorare).
Fin qui la fotografia dell’esistente. Ma già in rete si manifestano i primi problemi, destinati a moltiplicarsi con la crescente popolarità di questi strumenti. Nei giorni scorsi le autorità di vigilanza europee (Eba sulle banche, Esma sui mercati, Eiopa su assicurazioni e fondi pensione) hanno lanciato un avvertimento comune sui rischi connessi agli investimenti in criptovalute, token e Nft. Per diverse ragioni: da una parte la volatilità del loro valore che schizza o crolla a giorni alterni, dall’altra la presenza diffusa di avventurieri e truffatori seriali che sfruttano l’entusiasmo degli utenti per proporsi loro con proposte ingannevoli magari gettando l’esca degli influencer.
Un mondo, sostengono i regolatori di Bruxelles, con informazioni «poco chiare, incomplete, imprecise e addirittura fuorvianti». Le trappole possono essere innumerevoli, specie per chi si avvicina a questo mondo da neofita: si possono creare tanti Nft della stessa opera all’insaputa degli acquirenti, disperdendone di fatto il valore; si possono mettere online immagini senza possederne i diritti, vendendo in pratica opere di qualcun altro che potrebbe reclamarne indietro il possesso. E poi ci sono i problemi di obsolescenza delle tecnologie: chi mi garantisce che il sito o lo standard su cui è custodito il mio bene sia altrettanto funzionante tra dieci anni? Domande che in mancanza di norme chiare ed esaurienti rimangono tutte in cerca di risposta. Salvo una regola valida sempre quando ci si muove nelle paludi fangose della rete: prudenza, prudenza e ancora prudenza.
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