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La casa? Un bene mobile

 
Credito

La casa? Un bene mobile

di Mattia Schieppati - 27 Novembre 2018
Le nuove logiche del credito immobiliare possono rappresentare un punto di svolta nel rapporto tra banca e cliente, soprattutto per la generazione dei trentenni. Nel keynote speech che apre Credito al Credito 2018 Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis, presenta i nuovi scenari del mercato immobiliare. Che assegna alle banche un ruolo nuovo.
Il titolo dell’edizione 2018 di Credito al Credito, Energia per lo sviluppo, fotografa in maniera efficace il contesto sociale ed economico all’interno del quale l’evento si pone. Un momento di svolta che, dopo dieci anni, sembra essersi messo alle spalle le secche della grande crisi globale e ricomincia a guardare avanti. Con segni di fiducia, pur dovendo fare i conti con un «decennio faticoso»: così lo definisce Giorgio De Rita, Segretario Generale della Fondazione Censis, che aprirà i lavori come keynote speaker giovedì 29 con un intervento dal titolo “Il mercato immobiliare in Italia, le esigenze emergenti della popolazione e il contributo del settore al rilancio dell’economia”.

Dottor De Rita, il programma di Credito al Credito procede lungo due binari: i temi legati al credito alle imprese da un lato, quelli relativi al credito alle famiglie dall’altro. Dal vostro osservatorio quali sono – oggi – i punti di contatto tra questi due mondi, rispetto alle tematiche relative al credito?

“Il punto di rottura tra questi due mondi, per quanto riguarda il credito, ha una data precisa: il 2008. Dagli anni Settanta, con la lunga stagione del boom e lo sviluppo del tessuto imprenditoriale italiano fatto di piccole e piccolissime imprese, il flusso del credito andava naturalmente dalle imprese alle famiglie, e viceversa. L’imprenditore era, agli occhi di erogava il credito, al contempo la persona e l’impresa. Nei tessuti territoriali delle banche locali vigeva una dimensione di “credito omnicomprensivo”, che è stata una delle forze dello sviluppo. La gelata della crisi ha cambiato completamente lo scenario: abbiamo assistito a un riposizionamento del rapporto tra credito alle famiglie e credito alle imprese; si sono imposte una diversificazione e una specializzazione dei servizi e dei prodotti che ha spinto da una lato a una modernizzazione del sistema di offerta delle banche – oggi il corporate fa il corporate, il retail fa il retail, mentre fino a ieri i confini erano più sfumati – che richiede anche una crescita della “cultura del credito” tanto nelle imprese quanto nelle famiglie”.

Ha citato un tema che ricorre inevitabilmente, in questi ragionamenti: la crisi del 2008. A dieci anni di distanza, che cosa ha prodotto la crisi?

“L’elemento più evidente che la crisi ha prodotto è una sorta di stasi dello sviluppo. Più che anni drammatici, per la società italiana – parlo delle famiglie e delle imprese – sono stati anni faticosi, di allerta e di attesa. Le famiglie hanno badato a mantenere le proprie quote di risparmio, puntando a un “portafoglio liquido” e sottraendo energia agli investimenti in sviluppo, per esempio congelando gli investimenti nel mercato immobiliare. C’è stato insomma un accumulo dei risparmi potremmo dire “a scopo preventivo”, che ha riguardato anche le fasce meno abbienti della popolazione. Fasce che non per questo sono diventate “più ricche”, ma si sono anzi infragilite. Se guardiamo ai numeri, vediamo che nel 1998 le famiglie italiane finanziariamente povere, ovvero che avevano da parte risparmi in grado di far fronte a momenti di difficoltà per un orizzonte di 3-4 mesi, erano il 30%. Oggi sono il 44%. L’accumulo di risparmio, insomma, non ha rafforzato il tessuto sociale, ma anzi l’ha in qualche modo indebolito”.

Questa tendenza ha avuto una ricaduta evidente, appunto, sul mercato immobiliare.

“L’immobiliare rappresenta una cartina al tornasole immediata della situazione finanziaria di una popolazione, perché è il primo comparto a essere penalizzato da una propensione al risparmio liquido. E il riflesso sul settore del credito è altrettanto immediato. Se pensiamo che nel 2006 – ultimo anno pre crisi - sono state effettuate in Italia oltre 1 milione di compravendite immobiliari, mentre nel 2012 sono state 587.000, vediamo in pratica quanto questo rallentamento abbia impattato. In dieci anni gli immobili hanno perso un quarto del proprio valore, da un indicatore di valore medio di 126 nel 2010 a un valore medio di 98 nel 2018, con una perdita secca di 28 punti percentuali. Oggi però qualcosa sta cambiando. Negli ultimi 5/6 mesi assistiamo a segnali evidenti di ripresa: è triplicato il numero di famiglie che sta valutando l’acquisto di un’abitazione e, soprattutto, emerge un recupero di fiducia nel settore delle costruzioni, che da sempre è il primo settore a soffrire la crisi, ma è anche il primo a ripartire. A guidare la ripresa”.

Un segnale di ripresa che riguarda anche il credito?

“Va di conseguenza, certo. Anche il credito, però, deve uscire da questa fase di “congelamento” con una consapevolezza nuova, non può immaginare di riprendere dopo dieci anni come se nulla fosse accaduto. Il mondo e la società sono profondamente cambiate. Il credito deve ripensare radicalmente il proprio modello di approccio. La mia generazione è cresciuta con la cultura della “casa di proprietà”. Si acquistava una casa con l’idea che fosse “per sempre”, o quasi, un investimento di lunghissimo termine, dove il mutuo era un male necessario. Si passava la vita a pagare il mutuo sulla casa. Estremizzo, ma questa era la mentalità. Una cosa inconcepibile per i trentenni di oggi. Oggi i giovani sono fuori da questo schema. La loro regola è la flessibilità, flessibilità di vita e percorsi di carriera estremamente segmentati. Sanno che oggi vivono e lavorano a Milano o a Bari, ma domani potrebbero essere a Londra e dopodomani magari a Berlino. Nessun trentenne pensa che il suo lavoro sarà quello per tutta la vita, e di conseguenza anche la casa non è più un “bene immobile”, ma è considerata un investimento estremamente mobile. I giovani comprano casa con una prospettiva di “immobilizzo” del capitale di tre, cinque anni, non più di 30 o 50, come i loro genitori”.

Cosa chiedono dunque, i trentenni, al mondo del credito?

“Chiedono, innanzitutto, che il mondo del credito, che le banche, li “conoscano”. Legare la concessione di un mutuo alla presentazione delle ultime tre buste paga è un meccanismo che un trentenne oggi non riesce proprio a concepire. Nel credito immobiliare che guarda ai giovani a guidare non è più l’aspetto finanziario, ma la capacità di comprendere le esigenze del cliente, e la competenza nell’accompagnare più aspetti del processo di acquisto. Per le banche è una sfida interessante e importante: la concessione del mutuo diventa parte di un servizio di affiancamento più complesso, consulenziale più che semplicemente contabile o finanziario”.
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