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09 Dicembre 2024 / 09:45
Cookie addio. Ecco le alternative per le banche

 
Banca

Cookie addio. Ecco le alternative per le banche

di Massimo Cerofolini - 11 Maggio 2021
Grandi novità in arrivo nel marketing digitale: stop ai “biscotti” di terze parti, norme anti Big Tech dall’Europa, disciplina della privacy più severa. In che modo gli istituti finanziari si attrezzano per questo passaggio? Come trovare e usare al meglio i dati sui propri utenti? Se ne è parlato all’edizione 2021 di #ilCliente
Raggiungere la persona giusta, col messaggio giusto, nel momento giusto, nel luogo giusto e con il tono giusto. Quello che è da sempre il sogno dei grandi comunicatori diventa adesso alla portata con l’arrivo di computer potenti, algoritmi sofisticati e quantità smisurate di dati che permettono di centrare con precisione i desideri dei singoli individui nei momenti specifici della loro vita. Le aziende italiane cominciano a capirlo, moltiplicano gli investimenti sulle nuove tecniche di marketing e le banche su questo sono sicuramente un passo avanti.
Ma le certezze di oggi potrebbero sfumare da un momento all’altro. Per una serie di variabili di forte impatto. C’è per esempio la decisione di Google di eliminare i cookie di terze parti dal prossimo anno. C’è il progetto della Commissione di Bruxelles di limare le unghie ai giganti della rete con il Digital Markets Act. Ci sono le imminenti decisioni delle autorità europee sulla concorrenza e sulla privacy. E arrivano aziende innovative e startup con nuovi servizi per semplificare l’uso dei dati da parte degli utenti o per profilare la clientela con strumenti alternativi. Un fermento di novità di cui si è discusso nel panel “Dai cookie agli algoritmi: la nuova sfida della profilazione” del recente convegno Il cliente di Abi.

Cookies & co., un giro di vite

«Quello a cui assistiamo», spiega Isabella De Michelis, fondatrice di ErnieApp, startup con sede a Dublino che facilita la gestione dei dati, membro del cda di Cassa depositi e prestiti e voce molto ascoltata nelle stanze di Bruxelles, «è un’azione convergente di piattaforme e governi, che punta a mettere fine al far west della prima era di internet. Da parte delle aziende ci sono prese di posizione nette, come quella di Google e di Apple, per rafforzare il diritto dell’utente a scegliere se e come farsi profilare. Da parte dei governi, la Cina prima, seguita da Europa e poi da Stati Uniti, ci sono scelte forti per una governance dei dati più rigorosa. Come dire, finora ha prevalso la volontà di propagare il web con le sue meravigliose invenzioni e si sono considerati i dati come un bene inesauribile a disposizione di tutti. Adesso, dopo gli scandali degli ultimi anni, si è capito che questa crescita incontrollata ha generato una serie di monopoli che rischiano di annientare la concorrenza e di creare distorsioni irreversibili. Di qui il giro di vite, che in Europa – dopo il Gdpr – culminerà con il Digital Markets Act presentato a dicembre e ora in discussione».
«Il problema adesso», aggiunge Angelo Lo Ponte, capo del Business development and data di Teads Italia, «è offrire alternative valide a chi deve comunicare. La fine dei cookie di terze parti, a nostro avviso, non significa la fine della pubblicità personalizzata. Significa piuttosto la nascita di nuovi modelli pubblicitari più responsabili e sostenibili. L’obiettivo è recuperare la fiducia di molti utenti, oggi piuttosto compromessa, sul modo in cui i loro dati vengono utilizzati».

In arrivo le nuove Linee guida sui cookie

Alle azioni di governi e compagnie tecnologiche si aggiungono poi le norme sempre più severe dei garanti della privacy. Spiega Guido Scorza, membro dell’ufficio dell’Autorità per la protezione dei dati personali: «A breve pubblicheremo le nuove linee guida sui cookie. Per prima cosa sarà vietato condizionare l’accesso a un sito al fatto che l’utente accetti di farsi tracciare. Punto due: metteremo fine alla pratica dei consensi taciti all’accettazione dei cookie. In pratica non si potrà più dire che il semplice clic sul sito equivale a un sì, occorre un’azione esplicita e palese».

Banche pronte per il dopo-cookie?

E le banche? Come si preparano a questi passaggi turbolenti? Dice Andrea Ferrigno, Capo customer data intelligence di illimity Bank: «Noi siamo nati appena due anni fa e ovviamente non abbiamo uno storico consistente sui dati della nostra clientela. Per questo sviluppiamo algoritmi evoluti che permettonodi aumentare le nostre informazioni. In particolare, abbiamo identificato 180 diverse tipologie di analisi e questo ci permette di creare un centinaio di customer journey, ossia di percorsi automatici su cui intervenire in tempo reale con azioni di stimolo, come una spinta ad alimentare il conto corrente. Inoltre possiamo integrare le informazioni sui clienti grazie ad accordi con i nostri partner: in pratica, navigando dal nostro sito l’utente senza fare ricerche specifiche può entrare in contatto con offerte di aziende con cui collaboriamo, magari per chiedere un prestito, prenotare un viaggio o stipulare una polizza. E questo arricchisce il nostro patrimonio di conoscenza».
Banca Intesa Sanpaolo, invece, può contare su un’area per la gestione dei dati sin dal 2009, con la fusione dei due istituti. «Questo», racconta Roberto Massaglia, senior director Crm e pianificazione commerciale dell’istituto, «ha portato alla creazione di un magazzino di dati autorizzati dal cliente messo a disposizione di tutti i nostri reparti. Non solo quello del marketing ma anche il controllo gestione, lo scoring sugli acquisti o il risk management. Con un duplice vantaggio: più persone usano lo strumento, più questo si arricchisce e maggiore sarà la sua qualità a beneficio di tutti. L’idea di base è lavorare sugli analytics e profilare il cliente con lo studio dei suoi consumi: dimmi dove spendi i soldi e ti dirò chi sei, potremmo dire. Un esempio? Monitorando i benzinai vicino ai porti abbiamo scoperto quali dei nostri clienti hanno una barca».

I dati al servizio del cliente

«Il nostro obiettivo», aggiunge William Giribaldi, responsabile Marketing clienti e servizi digitali di Banca Mediolanum, «è convincere i clienti del vantaggio che possono ricavare ad offrirci informazioni di valore. Ad esempio, abbiamo creato una serie di categorie di spesa per controllare il bilancio familiare e, grazie alla Psd2, se il cliente apprezza il servizio, possiamo estendere il programma anche sui conti che lui ha con altri istituti. Per noi sono informazioni supplementari, per il cliente la possibilità di ricevere offerte più mirate, senza inutili promozioni. In sostanza, utilizzare i dati significa capovolgere il paradigma tradizionale: non è più il cliente che aspetta giorni la risposta su un prestito, ma siamo noi che, incrociando le informazioni disponibili, anticipiamo i suoi bisogni con offerte personalizzate. E i risultati ci danno ragione: ogni anno l’erogato cresce ormai del 50 per cento».
Per allargare il bacino di informazioni si affacciano poi sul mercato le proposte di diverse aziende innovative. Come ErnieApp, appunto. «Ciò che vale non è il dato», dice la fondatrice, Isabella De Michelis, «ma il diritto d’uso che si dà. La nostra infatti è un’applicazione di tipo relazionale, un’interfaccia per gestire il rapporto consensuale tra chi i dati li produce, cioè l’utente, e chi li valorizza, ossia il suo fornitore di un servizio, che sia una banca, un social network, un editore o un’azienda di retail. In pratica, rendiamo questi consensi persistenti. Come? Con una sorta di cruscotto sul cellulare, dove l’utente può allocare in modo semplice il suo consenso e la finalità d’uso dei dati che intende condividere. Quindi può togliere il disco verde ai soliti noti, come Facebook o Google, e darlo a qualcuno che gli chiede i suoi dati in modo più corretto e di mutuo vantaggio. L’utente entra così nella catena di valore e diventa partner dell’azienda con cui interagisce, ad esempio una banca. Quali dati può portare? Quelli che di volta in volta ritiene siano di comune interesse: la storia di navigazione su Google, la geolocalizzazione su Map, le spese di consumo su Uber, da quanto tempo ha un account su Paypal. E questo consenso potrebbe diventare un valore molto prezioso per una banca. Capace cioè di costruire relazioni personali più proficue e più curate».

Le alternative ai cookie

Quanto alla morte dei cookie, sono in rampa di lancio una serie di alternative. Racconta Angelo Lo Ponte, Teads Italia: «Una di queste è recuperare l’utente con un Unique ID, un identificatore unico che mette insieme un indirizzo e-mail criptato tra il dato di prima parte in possesso del brand con un eventuale login da parte dell’utente sulle testate giornalistiche o articoli di lettura. In sostanza un rimpiazzo one to one dei cookie di terze parti. C’è poi la soluzione relativa al dato di prima parte in possesso dell’editore, che però ha un problema: se oggi, grazie ai cookie di terze parti, conosciamo il dato dell’utente in maniera granulare, in futuro, con il solo dato di prima parte, sarà possibile accedere a un livello di informazione più frammentato: ad esempio, una specifica area di interessi, ad esempio il cibo, ma non le altre, che rimangono ignote. C’è poi un sistema innovativo basato sulla audience predittiva, che si affida all’intelligenza artificiale. E ancora c’è la privacy sandbox, il paradigma che Google sta testando con risultati però incerti in ambito europeo: è un modo per raggruppare gli utenti all’interno di gruppi con gli stessi interessi e mettere poi i dati aggregati a disposizione delle compagnie tecnologiche. Noi di Teads proponiamo di focalizzarci su ciò che l’utente legge. Essendo presenti in Italia sul 94 per cento dei contenuti editoriali, abbiamo un approccio collaborativo: vediamo il contenuto letto dall’utente, lo analizziamo con un motore semantico, e cerchiamo di ricavare altre tipologie di dati con quelle iniziative che prenderanno piede in futuro.Che siano lo Unique ID, la privacy sandbox o il nuovo progetto che sta lanciando Iab, di cui però ancora si sa poco. Il dato di prima parte, in definitiva, diventerà fondamentale. E visto che prevediamo un po’ di frizione nel passaggio di dati di prima parte a erogazione per contenuti pubblicitari, sarà importante conoscere bene l’utente già in pancia dell’azienda per poterlo recuperare al meglio con le nostre tecnologie».

Rivivi qui le dirette di #ilCliente 2021

 
 
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