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04 Ottobre 2024 / 02:20
Progetti culturali: la nuova ricetta della comunicazione
Nella Babele della comunicazione, tra milioni di voci che si sovrappongono e la proliferazione dei linguaggi, è diventato sempre più difficile farsi ascoltare. I vecchi media sono in affanno: tra il 2010 e il 2018 la carta stampata ha perso quasi la metà dei suoi lettori abituali, che sono ormai meno del 35% degli italiani. La televisione resiste ma quasi esclusivamente per un pubblico anziano. YouTube è diventato il secondo motore di ricerca al mondo e le generazioni più giovani si informano on line sugli aggregatori di notizie o sulle piattaforme social. Non sono interessate alla testata giornalistica o al brand dell’informazione, ma alla singola notizia indipendentemente da chi l’abbia prodotta. Ormai tutti trasversalmente rivolgiamo le nostre domande all’oracolo di Internet e la parte più allenata del nostro corpo è quella del pollice per fare lo scroll sullo schermo dello smartphone.
In questo ecosistema informativo iperaffollato i messaggi culturali faticano a trovare spazio e devono farsi largo tra multinazionali muscolari che investono massicciamente in branded content, gli influencer del momento e gli irresistibili e ipnotici gattini dei social network. Da ultima è partita la corsa al Metaverso, presentato come la nuova frontiera globale che segna numeri da capogiro ma che, per altri versi, sembra un nuovo giocattolo tecnologico di cui mancano le istruzioni.
Il secondo appuntamento dell’Osservatorio Banche per la Cultura (vedi il box in fondo) si è concentrato sul cercare di capire come è cambiata la ricetta della comunicazione, quali sono gli ingredienti contemporanei e come sfruttare al meglio i nuovi utensili tecnologici. Tra approcci tradizionali e sperimentazioni innovative, attraverso il confronto con esperti del settore e l’analisi di casi specifici, sono state sollevate le tante questioni sottese al come interpretare una strategia della comunicazione in questo contesto molto sfidante.
Come comunicare i propri contenuti e fare in modo che raggiungano le persone? Cosa comunicare per essere ascoltati e a chi affidarsi? Quale tono di voce scegliere e quali media utilizzare? E soprattutto, come raccontare attraverso i progetti culturali anche i valori e l’identità dell’istituzione finanziaria che li promuove?

I social network non sono più social

Il 25 novembre è stato il Black Friday, l’evento di shopping più atteso del mondo che Amazon ha reso virale negli ultimi anni. Eppure il post della pagina Facebook di Amazon Italia dedicato al Black Friday ha ricevuto solo 53 like e 44 commenti nonostante il profilo abbia più di 5 milioni di fan. Non va meglio sul social media per gli altri top player: Coca Cola, che ha quasi 109 milioni di fan, e Google, che ne ha 27 milioni, ricevono di media intorno ai 100 like ai loro post in italiano e persino lo stesso Facebook con 214 milioni di fan non supera qualche migliaio di like per i suoi post internazionali. A farlo notare è Alessandro Mininno, Ceo dell’agenzia digitale Gummy industries, digital business designer e autore dell’ebook Digital marketing senza Meta. «Nell’ottica tecnoentusiasta degli anni novanta ci hanno venduto l’idea che Internet avrebbe trasformato ognuno di noi in un editore che avrebbe potuto pubblicare i propri contenuti che tutti avrebbero letto. Era una visione bellissima ma falsa. Oggi, nel 2022, il mondo digitale è chiuso e blindato. Ottenere una base di utenti, una community solo in funzione del proprio contenuto non accade più su nessuna piattaforma».

Parlare nel vuoto

Sulla base dell’esperienza con circa 120 aziende grandi e medie, Mininno ha rilevato la “reach organica media” di un post pubblicato gratuitamente su Facebook. Il risultato è prossimo allo zero: 1,2%. Sale al 30% per i post su Instagram ma scende di nuovo al 7,2% con le IG stories. In parte queste cifre dipendono dalla stessa Meta che limita la visibilità dei contenuti aziendali. «Ognuno di noi nella vita ha messo un like a circa 800 pagine aziendali. Se vedessimo tutti i contenuti che pubblicano, saremmo riempiti di spam rispetto alle cose che ci interessano sui social ovvero le notizie dei nostri amici e i video divertenti. I social network sono diventati ‘paid media’, piattaforme molto simili alla televisione in cui si deve allocare del budget per avere visibilità. Il primo consiglio che diamo ai nostri clienti – chiosa Mininno – è: se progettate di spendere un euro per produrre un contenuto, prevedete di spendere altrettanto per promuoverlo».

Come essere rilevanti: la rivincita della nicchia

Più è grande la community, più basso sarà in proporzione il numero di persone che si riescono a raggiungere con un contenuto. L’aggregazione e gli interessi in comune di milioni di follower sono molto più diluiti di quelli di una comunità piccola stretta intorno a una passione condivisa. I micro influencer (meno di 50 mila follower) sono molto apprezzati dal pubblico e il 40% dei brand che utilizzano l'influencer marketing collaborano con un micro influencer piuttosto che con quelli tradizionali. In sostanza, secondo Mininno, Chiara Ferragni riesce a raggiungere con un post una percentuale minore dei suoi 14 milioni di fan di un campione di barbecue bresciano che ha solo 2000 follower ma tutti molto motivati.
Questo assunto può fornire un indizio su come essere rilevanti: mettersi dalla parte dell’utente, proporgli sul suo media preferito contenuti interessanti per lui in un modo che possa ingaggiarlo.
Sono tre, quindi, le dimensioni su cui lavorare. La prima è la qualità del contenuto: avere qualcosa da dire. La seconda è il tono di voce, che deve essere modulato in base a chi vogliamo essere ascoltati. La terza è il luogo: la piattaforma che scegliamo modifica il contenuto e le persone che riusciamo a raggiungere.
 
 
L’ha capito l’autorevole Treccani che, per parlare agli utenti più giovani, sul suo profilo IG (@treccanigram) usa un meme per spiegare il lemma “Unione Europea” o il titolo del singolo di lancio del nuovo album del rapper Ernia per il vocabolo “fregatura”. La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino si è fatta notare nel circuito dell’arte contemporanea con i suoi post di fotomontaggi scanzonati e ironici che mettono insieme personaggi pop, film e serie di culto o trend topic con le attività della galleria. Con questa strategia e con l’hashtag #occupysandretto ha rovesciato l’immagine fredda e distante dell’istituzione culturale invitando anche un pubblico non abituale ad andarla a visitare.
 
 
Nel 2021 Artribune, per festeggiare il suo decennale, ha chiesto a 10 artisti di inventare dei filtri Instagram che ha pubblicato in una mostra online sul proprio profilo. Più sperimentale il tentativo di trasformare l’archivio dell’artista Enzo Cucchi in un videogioco. Lanciato a giugno 2021, lo scorso novembre “Cuccchi” ha ricevuto il premio Best Applied Game 2022 durante gli Italian Video Game Awards per la capacità di trasmutare il mondo immaginifico dell’artista in pixel, eppure non sembra aver catturato davvero l’attenzione dei giocatori.

Il baricentro della comunicazione

Complementare il punto di vista di Paola C. Manfredi di PCM Studio, agenzia che segue, tra le altre, realtà come la Galleria Nazionale, Palazzo Grassi - Punta della Dogana, Artissima e specializzata in progetti che tengono insieme il mondo della cultura e quello dell’impresa.
Pur riconoscendo la necessità di considerare la comunicazione nel suo complesso su tutti i canali, suggerisce però di non sottovalutare l’importanza dei media tradizionali. «Anche se perdono numeri, non perdono prestigio. Rimane appannaggio dei legacy media decidere i temi di cui si parla. Per questo», dice Manfredi, «la figura del comunicatore culturale deve avere ben presente le esigenze dell’istituzione e della mostra che rappresenta e, allo stesso tempo, deve parlare il linguaggio del giornalista e dell’informazione. Questa attitudine si riverbera positivamente su tutti i prodotti derivati della comunicazione, dall’account social al sito internet».
Da qui può infatti scaturire una preziosa sinergia: la notizia "certificata" dalla carta stampata può essere rilanciata sul web generando una scia lunga di risonanza e reputazione che continua a lavorare nel tempo.

Lo storytelling emozionale

Il talento fondamentale del comunicatore è, quindi, individuare quali sono le notizie che veicolano l’identità del progetto culturale e dell’istituzione che lo propone e metterle al centro di una strategia integrata. Con questa matrice identitaria tutto l’apparato di comunicazione si muove in modo coerente pur declinando i messaggi in modo differente sui diversi media.
Il passo successivo è, secondo Manfredi, conoscere il proprio interlocutore: mappare i giornalisti, gli influencer, i blogger e sapere cosa li interessa, mettersi idealmente dall’altra parte del tavolo e predisporre il proprio materiale in base al destinatario. A questo proposito, negli ultimi anni è cresciuta l’importanza di trovare le storie che sono dentro le informazioni da comunicare: anche per i giornalisti dei media tradizionali è diventato più utile proporre uno storytelling coinvolgente che una recensione o una critica dell’evento artistico. La narrazione emozionale funziona poi molto bene anche sui quei canali come i social network che hanno un contatto diretto con il pubblico.

Cultura e brand identity

«L’investimento in cultura produce contenuti di grande valore relazionale e di posizionamento. Questi sono strumenti a disposizione di una azienda corporate per trasmettere una immagine di sé empatica, innescare un circuito virtuoso che produce connessione sia verso l’esterno sia all’interno dell’organizzazione. Le operazioni culturali mettono in circolo energia», conclude Manfredi.
Un caso di eccellenza italiano è Pirelli HangarBicocca (PHB) che, con i suoi 15000 mq di una ex fabbrica di locomotive, è uno dei più grandi spazi espositivi europei a sviluppo orizzontale. La fondazione no profit di produzione e promozione di arte contemporanea è un progetto di responsabilità sociale di Pirelli, che la sostiene economicamente e le fornisce il proprio know-how in termini di gestione manageriale e di consulenze dei dipartimenti dell’azienda ma lascia totale libertà rispetto alla scelta della programmazione alla direzione artistica guidata da Vicente Todoli. Oltre le quattro mostre annuali, la fondazione ospita l’istallazione permanente “I sette palazzi celesti” di Anselm Kiefer e propone un ricco calendario di appuntamenti culturali e attività educative.
Prima della pandemia era frequentata da una media di 200mila persone all’anno e chiuderà il 2022 con circa 165mila. La mostra “Bruce Nauman. Neon Corridors Rooms”, in calendario fino al 26 febbraio, ha una media di 12mila visitatori a settimana, un risultato ancora più notevole se si considera che lo spazio espositivo è aperto solo da giovedì a domenica. L’hashtag #arttothepeople, che identifica sui social le attività di PHB, sintetizza la missione inclusiva che la fondazione si è data, rendere l’arte aperta e accessibile a tutti, come dimostra anche l’ingresso gratuito.

La strategia comunicativa di Pirelli HangarBicocca

Per costruire questa riconoscibilità e questo gradimento da parte del pubblico, il palinsesto culturale e quello comunicativo, spiega Angiola Maria Gili, responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa, sono stati resi strettamente interconnessi. Al centro ci sono i contenuti che vengono veicolati per preparare le persone alla visita delle mostre e per continuare ad approfondire per chi è interessato. A tal fine nessuno strumento è stato trascurato: è stata incrementata la produzione di video su YouTube, particolarmente apprezzati dagli utenti; artisti o curatori creano delle playlist musicali sul profilo Spotify della fondazione e per ogni esposizione viene realizzato un progetto diverso di interazione sui social. Google Arts and Culture ha digitalizzato ad altissima definizione la street view dell’opera di Kiefer e di alcune mostre temporanee, tra cui “Breath” di Maurizio Cattelan (2021). «Questi mezzi ci hanno letteralmente salvato quando abbiamo dovuto chiudere per il lockdown e ci hanno permesso di continuare la nostra attività e di mantenere il contatto con la nostra comunità», sottolinea Gili. Tutti gli approfondimenti si riversano anche nel sito web del PHB dove trovano spazio in contenitori virtuali denominati Bubbles.
 
L’ecosistema della comunicazione è altrettanto articolato e, combinando strumenti gratuiti e a pagamento, si dispiega su tutti i canali disponibili. Oltre a quelli istituzionali, alla stampa, alla pubblicità e a campagne di web marketing, è stato fatto un lavoro sui motori di ricerca affinché PHB fosse indicizzato e visibile nelle prime posizioni della graduatoria di Google. Pari attenzione è stata data alla scelta e alla varietà dei tag collegati ai contenuti in modo da renderli facilmente reperibili. Il grande salto di qualità nella relazione con il suo pubblico PHB l’ha fatto di recente e proprio grazie al fatto di avere dietro di sé una importante realtà aziendale. Pirelli ha customizzato il proprio Customer Relationship Management (CRM) per le esigenze della fondazione culturale: «Il welcome journey», spiega Gili, «inizia con l’iscrizione alla newsletter. L’utente stesso definisce la targetizzazione esprimendo le proprie preferenze e filtrando quello che non lo interessa. Il CRM produce vantaggi per l’utente che è sempre aggiornato secondo le modalità che ha scelto, per noi come istituzione e per la parte corporate Pirelli come reputazione del brand. Da gennaio 2022 abbiamo raddoppiato i nostri iscritti e ora raggiungiamo 76mila persone».
 
L’attività collaterale al CRM è la misurazione dei risultati ottenuti, fondamentale per l’azienda per monitorare il ritorno del proprio investimento culturale. La conversione dell’attività di comunicazione è calcolata attraverso una valorizzazione quantitativa – numero di visitatori, tempo di permanenza sul sito, ingombro degli articoli, valorizzazione del marchio – e una qualitativa – sentimento positivo degli utenti, qualità delle conversazioni digitali, credibilità verso l’esterno, qualità delle uscite stampa. Parte di questi dati sono ricavati da una ricerca annuale su un campione nazionale che fornisce alcuni indicatori sulla percezione di PHB. All’interno del campione 2021, tra quanti hanno visitato PHB il 71% ha dichiarato di avere intenzione di tornare nei 6 mesi successivi, l’88% ha valutato la visita tra 4 e 5 (su scala da 1 a 5) e il 95% consiglierebbe di visitare PHB. Un grado elevato di affezione da parte degli utenti che il marchio corporate non può che essere soddisfatto di associare al proprio nome.

Osservatorio Banche per la cultura

Il progetto Banche per la Cultura nasce per valorizzare il ruolo delle banche nella diffusione della cultura. Attraverso l’attività di un Osservatorio, mira ad approfondire le innovazioni a supporto della gestione del patrimonio artistico sperimentate a livello domestico e internazionale, con un focus sulle esperienze legate alle collezioni corporate e delle istituzioni bancarie.
Le tematiche prese in considerazione riguardano la conservazione, la tutela e la gestione delle raccolte artistiche e documentali; le tecnologie innovative per la fruizione e la valorizzazione; le strategie di comunicazione tradizionali e innovative e le politiche di intervento in ambito culturale e artistico. Organizzato in un ciclo di quattro incontri, l’Osservatorio combina l’analisi di scenario, dei casi di studio e delle best practice con approfondimenti di taglio pratico e operativo su temi di movimentazione e assicurazione, fiscalità di vantaggio e opportunità del PNRR, nuove tecnologie e nuove frontiere delle opere collezionabili. Offre inoltre momenti di scambio e confronto tra le banche partecipanti e con esperti del settore, progettisti e referenti di aziende specializzate. Al progetto Banche per la Cultura hanno aderito Banca Carige; Banco BPM; BFF Banking Group; BNL BNP Paribas; BPER Banca; UniCredit.   Le banche e le aziende che desiderano partecipare al progetto, possono contattare: Francesca Parmeggiani: [email protected] Elena Chiocchio: [email protected]
 
 
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