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23 Ottobre 2024 / 05:26
I robot avranno partita Iva?

 
Scenari

I robot avranno partita Iva?

di Mattia, Schieppati - 31 Agosto 2017
Dalla California la proposta di tassare il lavoro svolto dai droidi dotati di intelligenza artificiale. Una provocazione che apre la discussione sui grandi temi etici e sociali sfidati dalla «robo-lution» e dai cobot, i robot collaboratori a casa e nel mondo del lavoro. E il tema atterra in Italia, al primo Festival Internazionale della Robotica, al Sant'Anna di Pisa dal 7 al 13 settembre ...
Questa volta, per trovare una scappatoia, ci si dovrà affidare all’intelligenza artificiale di qualche drone-commercialista. Il tema della diffusione dei robot e delle loro capacità sempre più efficaci ed efficienti è infatti uno dei focus più caldi dell’innovazione tecnologica. Dall’aspirapolvere Rumba che pulisce i pavimenti ai robo-advisor che muovono ogni millisecondo miliardi di investimenti in maniera completamente autonoma e slegata dall’intervento dell’intelligenza umana, è evidente come dalle teorie sullo sviluppo delle reti neurali e del deep learning si è ormai passati allo scenario della meccanizzazione sempre più spinta degli algoritmi. Che assumono le sembianze di quelli che, nell’immaginario collettivo (sorretto da decenni di narrativa di fantascienza), possono essere indicati come robot. Ovvero, secondo la definizione di Anca Dragan, ricercatrice dell’Università di Berkeley e tra i massimi esperti di robotica al mondo, «un’intelligenza artificiale collocata in un corpo fisico in grado di agire in maniera autonoma e le cui azioni hanno effetti nel mondo fisico». Macchine in grado di valutare tra diverse opzioni, prendere decisioni, agire, e per di più imparare da ogni “esperienza”.
Bancaforte ha già approfondito lo scenario all’interno del quale la «robolution», come viene definita, si sta collocando (leggi qui).
E ha anche mostrato alcuni esempi di droidi che già svolgono funzioni di accoglienza e indirizzo del cliente in particolare in ambito bancario (clicca qui).
Riguardo invece al crescente utilizzo dei bot, anche in ambito finanziario, clicca qui.

Invasione robot

Ma la realtà, come in ogni libro di science-fiction che si rispetti, sta rapidamente superando la fantasia, e la robotizzazione della società procede a passo spedito. Oggi i robot operativi in tutto il mondo sono 1,8 milioni (quelli almeno che corrispondono alla definizione di Duncan, ovvero macchine in grado di sviluppare azioni autonome in base a “ragionamenti” guidati da algoritmi di deep learning). E nel giro di tre anni, secondo le previsioni contenute nel documento “The future of Jobs”, presentato all’ultimo World Economic Forum di Davos, il mercato globale avrà raggiunto un valore di oltre 150 miliardi di dollari. Entro il 2019 saranno in funzione 2,6 milioni di macchine intelligenti nelle fabbriche, e nel giro di pochi anni i robot domestici saranno almeno 30 milioni. Più che dai macchinari destinati alla produzione industriale, sembra infatti che a trainare lo sviluppo del settore saranno i robot per uso privato. Stando alle previsioni dell’Ocse, l’avvento delle intelligenze artificiali potrebbe mettere a rischio nel prossimo decennio il 10% dei posti di lavoro.

Lavori? Allora paghi le tasse

Se il primo pensiero è che cosa ne sarà del lavoro, con l’avvento della robotizzazione, allargando questa domanda si mette anche in crisi l’intera architettura sociale costruita fino ad ora. Jane Kim, politica della municipalità di San Francisco – capitale della Silicon Valley – la scorsa settimana ha lanciato la campagna «Jobs of the Future Fund», che ipotizza l’applicazione di una tassa per ogni robot che entra a operare in un’azienda (la notizia è riportata dall’edizione Usa di Wired). I ricavi di tale tassazione andrebbero a costituire un fondo destinato a sovvenzionare e attivare strumenti di formazione e aggiornamento per quei lavoratori che si ritroverebbero sostituiti dalle macchine, e quindi spinti al di fuori del mondo del lavoro. Una proposta che mette nero su bianco una frase sibillina pronunciata da Bill Gates, fondatore di Microsoft, durante un’intervista di qualche mese fa ((«Bisognerebbe pensare a una qualche forma di "robot tax" sui profitti che vengono generati grazie all'impiego di robot...», ha detto Gates - vedi qui il video).
Una boutade estiva? Così come è posta, la campagna è ancora un po’ troppo generica per essere convincente (la stessa Kim ammette che ancora bisogna trovare una definizione completa di che cosa sia un robot, e quindi chi siano i “soggetti giuridici” cui applicare tale tassazione), ma dimostra come la nuova era della robotica non sia solo un tema centrale in ambito tecnologico e produttivo, ma segna un punto di non ritorno in ambito etico e sociale, e chiama a immaginare nuovi modelli di società dove gli umani si troveranno via via a cedere terreno alle macchine, o in ogni caso a conviverci in maniera sempre più stretta e complementare, tra le pareti di casa così come sul posto di lavoro.

Non robot, ma cobot

Paolo Dario, coordinatore del Comitato scientifico del Festival Internazionale della Robotica di Pisa
«Queste macchine stanno per lasciare i laboratori ed entrare nella nostra vita - annuncia Paolo Dario, direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e ispiratore del primo Festival Internazionale della Robotica, che si terrà proprio in Italia, a Pisa, a conferma dell’eccellenza dell'Italia in questo settore), dal 7 al 13 settembre. Un festival ricchissimo di appuntamenti, con laboratori, convegni, esposizioni e concerti (qui il programma).
«I robot devono essere intelligenti, ma non troppo - spiega Paolo dario - Essere in grado di apprendere dagli uomini, ma senza superarli». Senza dipingere scenari catastrofisti di mondi dominati dalle macchine, quello che Dario vede è uno sviluppo sempre più raffinato dei cosiddetti “cobot”, i robot collaborativi, macchinari intelligenti che sono in grado di interagire e collaborare con i dipendenti umani all’interno di un unico spazio di lavoro condiviso.
I cobot sono considerati i robot industriali del futuro e si mettono in netta contrapposizione rispetto ai macchinari usati a partire dagli anni Quaranta nelle industrie di tutto il mondo. Un tempo, infatti, i robot venivano strutturati per svolgere in maniera autonoma il proprio lavoro, spesso senza la necessità dell’intervento umano. Ora invece si punta alla creazione di macchinari che possano interagire con la componente umana di un’impresa, in maniera tale da rendere più efficiente, per entrambe le parti, il lavoro. «La singolarità più interessante», continua Paolo Dario, «non è quella del supercomputer, ma la capacità dei robot di assimilare abilità manuali, anche di alto artigianato: robot cuochi, fabbri, ricamatori. Perché no: un robot maggiordomo, di stampo inglese. Questa intelligenza permetterebbe di salvare un tesoro molto umano, quello dei mestieri che non vogliamo più fare». Una collaborazione uomo-macchina rispetto alla quale anche l’uomo deve essere aperto nel cogliere nuove opportunità di crescita: «Gli umani addestreranno i robot, ma dovranno anche apprendere da questa nuova collaborazione».
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