Un quarto d’ora di città
di Ildegarda Ferraro
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19 Novembre 2021
Una città da 15 minuti, o anche a voler esagerare un quartiere da 20. Ripensare gli spazi e i tempi a misura di noi umani che abbiamo visto cose… Centri più vivi e vitali. Periferie rammendate e che non siano più nemmeno considerate sobborghi. Nel dibattito è più che mai centrale che cosa fare delle nostre città
«Ci metto un’ora per venire in ufficio. A volte anche di più. E guarda che non vivo in un’altra città. Autobus e metro. Poi dalla stazione prendo un altro autobus, vado a piedi oppure provo il brivido del monopattino o di una bici con la pedalata assistita. Una città da 15 minuti? Un sogno». Il collega è di quelli che non mollano e nello stesso momento non smettono di sognare. E anche negli uffici c’è chi si industria a trovare soluzioni nella posizione di mobility manager o facilitatore. Insomma, con la pandemia abbiamo riscoperto i paesi, ma ci siamo resi conto che dobbiamo più che mai mettere mano alle città.
E così il dibattito cresce. L’idea di una città di 15 minuti è francese, parigina in realtà.
Carlos Moreno, il direttore scientifico della Sorbona, ha tirato fuori questa idea un po’ di tempo fa (
vedi qui) e la proposta ha quanto meno conquistato i pensieri. Sarà che anche noi tutti non smettiamo di sognare.
Questa pandemia ci ha messo di fronte a centri antichi e bellissimi quasi disabitati. Poche case private, niente turisti, uffici con lavoro a distanza, negozi vuoti. Periferie, che pare sarebbe bene con chiamare nemmeno così, senza centri di aggregazione, spesso con poca anima e niente servizi.
E le città sono comunque le nostre case, la nostra storia, la bellezza che sostiene e cura. Avere tempi per viverle non è solo un’utopia, è qualcosa su cui lavorare. E poi c’è un tempo antropologico che non possiamo dimenticare. Come ha raccontato
Riccardo Luna su
Repubblica (
qui), per
Cesare Marchetti, un grande fisico italiano di 96 anni, i nostri spostamenti dipendono da un istinto ancestrale che è rimasto lo stesso delle età delle caverne (
vedi qui). Un tempo umano di spostamento, che non è lontano da quello che ci legava alla nostra caverna, mezz’ora per andare in giro e mezz’ora per tornare. Questo tempo si chiama “
costante Marchetti”. Naturalmente non stiamo parlando di grandi migrazioni, che sono un’altra storia, ma della traccia arcaica che abbiamo in noi per gli spostamenti quotidiani.
Oltre ai 15 minuti si sta anche facendo strada l’idea di un quartiere di 20, ma siamo lì. Non c’è una differenza strutturale.
E non riesco a non pensare alla “città ideale” del Rinascimento. A Piero della Francesca. Insomma, un po’ di materiale noi certamente lo abbiamo da parte.
Possiamo anche contare su spiriti forti. Penso a
Renzo Piano e a rammendare le periferie (
vedi qui) oppure a
Mario Cucinella, secondo cui dobbiamo abolire il concetto di periferia per lavorare su di una città fluida, collegata e osmotica (
vedi qui). E serve anche su un po’ di impegno di ciascuno di noi nel curare personalmente queste città almeno un pochino.