Ombre
di Ildegarda Ferraro
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26 Maggio 2021
Il lato oscuro e doloroso di questa pandemia emerge costantemente. I tanti morti, il blocco delle iniziative collettive, la distanza sanitaria. Gli anziani, i bambini, gli adolescenti, ognuno con il proprio fardello. Una consuetudine più assidua al dolore. Il raccogliersi e ripiegarsi in sé stessi. Emerge comunque in prospettiva la luce in fondo al tunnel
«Se n’è andata. Era la mia più cara amica. Tante bellissime cose insieme. Tanti progetti che avevamo sono spariti con lei…». Guardo la collega e vedo il suo dolore di fondo. Cerco di cambiare discorso, ma è chiaro che la ferita è aperta. Questa pandemia ha reso più evidente il senso della vita e il sapore del dolore. Abbiamo tutti negli occhi le immagini dell’emergenza, le terapie intensive, gli addii. Ognuno di noi ha fatto i conti con un dolore privato che si è sommato ad un dolore collettivo. Bergamo e le colonne dei camion dell’esercito, gli anziani delle residenze sanitarie, gli adolescenti con il web per amico, i bambini soli.
Inutile nascondersi il dolore. La pandemia ci ha familiarizzato con la morte. Nostra sorella morte corporale del Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi.
Ognuno ha il suo dramma. Gli anziani la paura della morte. I giovani l’inibizione del grande rito di passaggio nell’età adulta, nell’indipendenza e nella vita agita. Due antropologie dice Ezio Mauro in un suo editoriale (
https://rep.repubblica.it/pwa/editoriale/2021/05/16/news/l_editoriale_di_ezio_mauro_di_lunedi_17_maggio_2021-301306187/). Ed effettivamente se le terapie intensive sono state il campo dei molto adulti, dall’altro lato ci sono i ragazzi dispersi nella didattica a distanza in fuga dalla scuola. Triplicati i disturbi alimentari e relazionali.
Accoccolati nella nostra sofferenza, è un po’ questo lo stato delle cose. Passata la fase dei canti dai balconi resta il senso di smarrimento. C’è chi parla di “languore” e chi come il sociologo Giuseppe De Rita di “letargo di vitalità”.
E poi c’è Emma, piccola figlia dello sceneggiatore Mattia Torre premiato quest’anno ai David di Donatello, i premi del cinema per il cinema. Emma Torre, 12 anni, riceve il premio per suo padre scomparso a 47 anni. È spiccia, simpatica e cosciente: «Complimenti a mio padre che è riuscito a vincere questo premio anche se non c’è più». E poi giù la lista delle persone care. Via con le dediche: «A mio fratellino Nico che mi fa ammazzare dalle risate e alla mia mamma che non si arrende mai». Emma Torre parla del film che «parla di famiglie sole e bambini che nascono. Per questo ringrazio anche le ostetriche che ogni giorno s’impegnano per far nascere i bambini e i medici e gli infermieri che si impegnano per non far volare via le persone». La conclusione è un semplice «Bravo papà» (
https://www.corriere.it/spettacoli/21_maggio_12/mattia-torre-moglie-francesca-emma-toglie-fiato-papa-ha-vissuto-malattia-sempre-col-sorriso-8707f650-b343-11eb-a8d8-6fa95675e8be.shtml).
Come cantava Franco Battiato: «Il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire» (
https://www.youtube.com/watch?v=F2dDrLYPjms). Certo tocca impegnarsi nel cercarla. E parlando di Battiato penso all’effetto confortante de
La Cura (
https://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/la-cura-emozionante-live-di-battiato-con-la-ensemble-symphony-orchestra/239806/239727). E io la luce in fondo al tunnel la vedo. Perché un po’ bisogna crederci e volerla.