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08 Ottobre 2024 / 14:46
Il cliente ha problemi? Li risolve in chat con un algoritmo

 
Scenari

Il cliente ha problemi? Li risolve in chat con un algoritmo

di Massimo Cerofolini - 31 Ottobre 2018
L’intelligenza artificiale apre a servizi evoluti di chatbot, non solo in grado di riconoscere le emozioni ma di imparare anche dall’ascolto. Soppianteranno l’uomo? No, libereranno risorse per lavori più complessi e creativi. Ne parla Antonio Giarrusso di Userbot, protagonista al Salone, mercoledì 7 novembre, nella sessione sul Machine Learning ...
Capisce lo stato d’animo di chi è dall’altra parte dello schermo, gli fornisce la risposta ai problemi con il tono adeguato e se si rende conto che la soluzione non è alla sua portata passa la palla a un collega. In carne ed ossa. Già, perché l’assistenza ai clienti oggi passa anche per un programma di intelligenza artificiale, che simula – il più possibile – lo stesso linguaggio e lo stesso comportamento di un essere umano. Gli algoritmi del deep learning applicati alle conversazioni nel customer service, insomma. È su questa idea che nasce Userbot, il servizio digitale che interagisce online con gli utenti al posto degli operatori tradizionali. O meglio in una sorta di lavoro di squadra. A idearlo è Antonio Giarrusso, 29 anni, ingegnere campano che ha al suo attivo la creazione di Mobixee, start-up inglese che crea app per la formazione e l’intrattenimento e, ai tempi dell’università, di iMathematics, app per ripassare la matematica scaricata da milioni di studenti in tutto il mondo. Giarrusso, che si avvale di un team di specialisti del digitale (Ricardo Piana, Marco Muracchioli, Jacopo Paoletti, Carolina Pocino e Patrick David), sarà uno degli ospiti del Salone dei Pagamenti, mercoledì 7 novembre, nella sessione “Machine Learning: rimanere competitivi in un mercato che si rivoluziona” (leggi qui). Lo abbiamo intervistato.

Anzitutto, come descrivere il lavoro di Userbot?

E’ un servizio di intelligenza artificiale che permette di automatizzare alcuni processi aziendali, in particolare quelli rivolti al rapporto con i propri clienti. In pratica funziona su due livelli. Il primo è affidato all’algoritmo. Il quale nella chat con gli utenti risponde per iscritto alle domande più generiche e ripetitive. Ad esempio, gli orari di apertura degli sportelli, lo stato di un ordine, come recuperare una password o come ottenere una fattura. Nel caso le domande siano più complesse, l’algoritmo riconosce di non essere in grado di andare avanti e gira la conversazione a un operatore. È il secondo livello. Ma la cosa interessante è che l’intelligenza artificiale non viene tagliata fuori dalla chat. Perché rimane in ascolto del dialogo e impara dal collega umano che subentra in azione.

Possiamo fare un esempio?

Partiamo da una domanda standard: che documenti servono per un prestito di 5 mila euro. Lì la macchina gioca facile e parte con l’elenco di cose che vanno dalla carta d’identità al codice fiscale passando per i cedolini della busta paga. Ma se l’utente dice per esempio di avere una tessera di riconoscimento particolare, insomma se pone un quesito difficile da interpretare, il nostro Userbot chiama in causa l’operatore, il quale sulla tastiera digita la risposta corretta. Ecco, la volta successiva, se qualcuno ripresenta la stessa questione, la macchina risponderà in autonomia, sulla base di ciò che ha appreso, senza più chiedere aiuto.

Oltre ai contenuti, il software impara anche i modi e l’emotività.

Certo, abbiamo sviluppato una tecnologia di apprendimento del linguaggio che consente di riconoscere le emozioni dell’interlocutore. E questo permette varie scelte: dare priorità a chi è più frustrato o rabbioso, dirottando subito la soluzione sull’operatore umano; oppure, calibrare le risposte e l’espressività sulla singola persona. Se dalla punteggiatura e da parole chiave, per dire, dovessimo comprendere un certo gradimento dell’utente, Userbot può invitare l’interlocutore a mettere un like sulla pagina Facebook aziendale.

Insomma, sembra come un bambino volonteroso.

Sì, questo approccio è ciò che ci differenzia dai tradizionali chatbot e dagli assistenti virtuali esistenti. In questi casi si tratta di programmi che si limitano a eseguire compiti minimi basati su un set di domande e risposte predeterminate. Noi puntiamo invece sul machine learning, l’apprendimento per prove ed errori tipico dei bambini: in sostanza, su un’interazione tra uomo e macchina che sia il più possibile vicina a quella tra le persone. E dunque, studio continuo, flessibilità, ma anche finezza psicologica. E non solo per la capacità del sistema di capire gli stati d’animo. Ma anche per tarare le sue reazioni. Ci siamo accorti per esempio che persino i tempi di risposta del software devono essere adeguati a una conversazione naturale: se troppo immediati suonano come falsi e creano disagio.

Ecco, questo è un punto importante. Non sarebbe più corretto dire in partenza che la conversazione avviene con una macchina?

In futuro credo che sarà la legge a disciplinare questo aspetto. Nel frattempo la scelta dipende dalle aziende. Alcune lo dichiarano subito, altre no. Anche perché, proprio per l’architettura di Userbot, algoritmi e operatori si alternano nella stessa conversazione. Dalle nostre stime comunque, appena 6 persone su cento si accorgono che al di là dello schermo non c’è una persona. E questa è la cosa importante: che la comunicazione sia fluida ed efficace.

Su quali canali funziona il sistema?

Su tutti: siti aziendali, social network come Facebook, Twitter o Instagram, app, fan page, messanger, ovunque sia possibile creare una chat. In teoria anche sugli assistenti vocali: ma la tecnologia, nonostante le ricerche avanzate di Google Duplex, è ancora lontana da esiti davvero soddisfacenti.

Come avviene l’addestramento delle macchine?

Il punto di partenza sono i dati. Più l’azienda li mette a disposizione meglio funziona il software. Anche se tutti parlano dell’economia dei Big Data, c’è comprensibilmente una certa riluttanza da parte delle imprese a rendere disponibili documentazioni interne. In ogni caso, poco alla volta, i dati iniziali vengono arricchiti dall’esperienza e dai programmi di deep learning. Inoltre nostro compito è “pulire” la massa di informazioni in modo che queste siano omogenee e facilmente traducibili in un linguaggio da chat. Tanto per avere un’idea. All’inizio del servizio, soltanto 7 conversazioni su cento vengono gestite con l’intelligenza artificiale in totale autonomia, dal ciao all’arrivederci. Dopo 5 mesi di addestramento le percentuali salgono al 17%.

In definitiva quali sono i vantaggi?

I nostri clienti sono soprattutto nel campo della finanza e dell’e-commerce, perché è lì che si dispone di tanto materiale di partenza in termini di dati. In questo caso i benefici sono enormi. Anzitutto si riducono tempi di gestione e i costi: il software opera 24 ore al giorno per tutti i giorni della settimana, è rapido e può rispondere in tutte le lingue su tutti i canali, anche contemporaneamente. Inoltre dalle chat è possibile estrarre in tempo reale le metriche sulla soddisfazione della clientela e su tanti altri parametri utili per migliorare il servizio.

Che ne è però dei lavoratori che oggi operano nelle chat, non ci sono problemi all’orizzonte?

Quello dei posti di lavoro rimpiazzati dalle macchine è un problema globale che tocca qualsiasi ambito della rivoluzione digitale. Ma a mio avviso, al momento, anche le migliori intelligenze artificiali vanno considerate come sistemi statistici e non come individui consapevoli pronti a far fuori la razza umana. Questa è solo fantascienza. Piuttosto guarderei il lato positivo. Oggi gli operatori sono costretti a rispondere nello stesso modo a quesiti ricorrenti, anche centinaia di volte al giorno, con evidenti forme di frustrazione. Liberati di questa incombenza, possono trasformare il loro contributo in modalità più complesse e più creative. Possono veramente far sentire l’apporto umano in una conversazione con la clientela. Ovviamente, per fare questo, è necessaria una riqualificazione profonda del personale.

Una domanda per finire sulla vostra start-up. Come stanno andando le cose?

Molto bene. Abbiamo tra i nostri clienti sia grandi aziende che pubbliche amministrazioni, a cui forniamo soluzioni sartoriali. Nel primo semestre del 2018 poi abbiamo raccolto, grazie a business angel e crowdfunding, circa 500 mila euro. I nostri prossimi obiettivi sono quelli di allargare l’offerta aprendoci anche alle piccole imprese: vogliamo creare contenuti sempre più intelligenti, introdurre l’apprendimento per immagini con la computer vision e modelli predittivi sui comportamenti della clientela. Le intelligenze artificiali nei prossimi anni cambieranno davvero il mondo. E noi ci saremo.
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