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19 Agosto 2025 / 22:51
Rivoluzione AI, il marketing come sinfonia tra dati, emozioni e algoritmi

 
Scenari

Rivoluzione AI, il marketing come sinfonia tra dati, emozioni e algoritmi

di Massimo Cerofolini - 18 Luglio 2025
L'intelligenza artificiale generativa sta trasformando radicalmente il mondo del marketing e della comunicazione. Anche nel campo bancario. All'Osservatorio Digital Marketing e Comunicazione integrata promosso dall'ABI, esperti e professionisti raccontano come il futuro sarà scritto da team di uomini che collaborano con le macchine, tra neuroscienze, interfacce generative e nuove forme di fiducia. Il rischio? Perdersi nel flusso. La salvezza? Tornare umani. I prossimi appuntamenti il 17 e 18 settembre. 
Il marketing non è più quello che era. Né la comunicazione. A crollare non sono soltanto vecchie abitudini, ma l'intero copione. Al loro posto, una metamorfosi silenziosa ma inarrestabile: l'irruzione dell'intelligenza artificiale generativa. Una tecnologia che non si limita a potenziare gli strumenti, ma riscrive da capo il mestiere, i ruoli, i tempi, le strategie. Anche nel mondo bancario. C'è chi la chiama vibe marketing, in assonanza al vibe coding, la scrittura di codice tramite linguaggio naturale in cui l'AI traduce idee e intenzioni in software senza la necessità di conoscere linguaggi di programmazione. C'è chi preferisce parlare di marketing aumentato, per mantenere il baricentro sulla parte creativa più che sulla novità tecnologica. Ma la sostanza non cambia: il marketer e il comunicatore di domani non saranno più semplici esecutori di strategie collaudate, ma direttori d'orchestra di un team ibrido fatto di agenti di intelligenza artificiale e talenti umani. 
Sulla carta la promessa è ampia: ridurre le complessità, abbattere costi e tempi di go-to-market, aumentare la precisione delle campagne. Ma il rischio è perdere la bussola. Perché, tra flussi automatici e prompt iper-ottimizzati, serve ancora qualcuno che guardi dove stiamo andando: intercettare i desideri profondi della generazione Z, per esempio, leggere i dati con lo sguardo delle neuroscienze, ma soprattutto tenere viva quella visione umana che nessun algoritmo potrà mai replicare. Magari ammettendo in pubblico i propri limiti.
È questo, in sintesi, il senso della prima giornata dell'Osservatorio Digital Marketing e Comunicazione Digitale promosso a Milano dll'ABI, con la direzione di Daniela Vitolo (prossimi appuntamenti il 17 e 18 settembre). E per sottolineare che, prima dei sortilegi tecnologici ci sono le vite e i bisogni concreti delle persone, la giornata ha preso le mosse dall'intervento di Federico Capeci, CEO di Kantar Italia, che ha puntato i riflettori sulla galassia più sfuggente alle vecchie letture della comunicazione: la Generazione Z.
"I ragazzi tra i 18 e i 29 anni - spiega Capeci, autore del libro Neet - I sette volti di una generazione in attesa - condividono l'esperienza di vivere in quella che chiamiamo permacrisi, una crisi permanente, segnata dalle cronache degli ultimi cinque anni. Da qui nascono valori nuovi, diversi da quelli delle generazioni precedenti. Qualche esempio? La conoscenza: i giovani vogliono capire meglio le formule sulla loro previdenza, gli investimenti che possono proteggerli nel tempo. Ma anche il divertimento, la creatività, l'individualità, l'ambizione, il senso di appartenenza."
Per restare in contatto con loro, i comunicatori devono evitare un linguaggio carico di stereotipi negativi, privilegiare valori universali come l'amicizia, il risparmio, la crescita, e soprattutto favorire il dialogo tra generazioni.  "La Gen Z - osserva Capeci - è la prima generazione meno giovanilista e contestataria di quelle che l'hanno preceduta. Cerca regole, competenza, senso."
Un linguaggio ancora tutto da scoprire. E che trova nuovi strumenti nelle neuroscienze potenziate dall'intelligenza artificiale. "Il punto - spiega Giovanni Pola, direttore dell'International Neuromartech Observatory - non è più solo capire se uno spot funziona, ma sapere quando e dove colpisce a livello emozionale. Anche secondo per secondo."Un tempo servivano elettroencefalogrammi, eye-tracking, laboratori. Oggi, dichiara Pola, possiamo usare anche modelli statistici e codici informatici addestrati sullo storico delle rilevazioni fatte nel passato: l'algoritmo ti dice dove cadrà lo sguardo, quanto durerà l'attenzione, quale frame emoziona e quale no. Un esempio? Se un'immagine di uno spot è poco efficace, l'algoritmo suggerisce - o addirittura genera in tempo reale - un'alternativa più coinvolgente. Come fa Veo 3 di Google, in grado di produrre immagini, suoni e voci sincronizzate con il labiale da un semplice comando scritto. Senza bisogno di telecamere né microfoni.
Ma l'intelligenza artificiale non porta solo doni. Tra le spine per i sacerdoti del brand ci sono i nuovi motori di ricerca generativi, che forniscono risposte sintetiche al posto dei link ai siti. Simone Righini, esperto nel settore dei motori di ricerca, offre uno scenario tanto concreto quanto allarmante: "Meno del 43 per cento dei click su Google oggi porta a un sito web. Il resto resta 'dentro': l'utente legge la risposta direttamente sulla piattaforma che appare subito sotto la barra di ricerca". Lo stesso accade con ChatGPT o Perplexity. 
Ecco che la relazione tra azienda e pubblico si spezza: chi cerca qualcosa finisce per accontentarsi della risposta secca creata dall'AI e solo in via eccezionale va a controllare nei link. La conseguenza per un istituto bancario? Aumento dei costi di acquisizione, perdita di controllo sui dati, disintermediazione dei contenuti. Blog, pagine prodotto, newsletter: tutto rischia di sparire nei flussi sintetici delle risposte automatiche. "Più tecnologia abbiamo - avverte Righini - meno tracciamo. È sempre più difficile sapere da dove arriva un cliente e cosa lo ha convinto". Eppure c'è una leva da non perdere: la relazione umana. "Il vero asset del futuro non sarà la tecnologia, ma la fiducia costruita. Bisogna tenere le porte aperte. Curare i nostri utenti. Anche quelli che sono andati via, mostrando loro empatia e comprensione". Ancora una volta, sono i valori condivisi a fungere da baluardo contro l'omologazione delle piattaforme. "In un mondo fatto di interfacce - conclude Righini - tornare umani è la vera sfida".
"Ci vuole coraggio", esordisce nel suo intervento Stefania Romenti, Professoressa di Strategic and Corporate Communication alla IULM di Milano. E cita lo spot della Federazione delle banche belghe: una serie di bambini raccontano cosa vogliono fare da grandi - dallo scrittore al pompiere - ma nessuno sogna di lavorare in banca. Anzi. "Mettere in piazza i propri limiti con ironia - sottolinea la docente - è un modo per manifestare autenticità". Ci sono aziende che nella comunicazione anziché i successi raccontano i propri fallimenti e gli obiettivi mancati. E c'è chi, come Klarna, dopo essersi vantata di aver sostituito metà dei dipendenti con algoritmi, ha fatto marcia indietro: l'amministratore delegato ha riassunto i licenziati, riconoscendo pubblicamente il valore del rispetto umano.
Su queste basi si innestano gli interventi dell'Osservatorio più orientati alla tecnologia. Matteo Tarolli, Senior Vice president di Publicis Groupe e CEO di Starcom, mostra come l'intelligenza generativa possa essere potente solo se guidata da una visione chiara. Come nello spot Pantene, dove alcune donne dialogano commosse con il proprio clone che le invita a prendersi cura di sé. Impossibile non inumidirsi gli occhi. Il relativo slogan "Self-care is not selfish" ha generato oltre 13 milioni di interazioni. 
Intessante poi il racconto di Alessandro Callari, Regional manager Italy, Israel & Malta per Booking.com: "Stiamo passando dalla ricerca strutturata di voli, hotel e servizi a vere e proprie conversazioni. Con la nostra Ai Trip planner è come avere ChatGpt dentro Booking. Puoi chiedere, ad esempio: voglio fare una vacanza, in cui possa giocare a tennis, avere animazione per i bambini e un ristorante stellato in prossimità. La risposta arriva dal sistema raccogliendo le informazioni e unificando in linguaggio naturale una sintesi. Su cui poi si può interagire come in un dialogo. Attenzione: l'algoritmo oltre che nelle schede degli operatori cerca anche nelle recensioni, magari desumendo da una foto di un cliente la presenza di servizi per cani". Un sistema, suggerisce Callari, che può essere applicato anche ad altri comparti. Banche comprese.
In chiusura, Lorenzo Luce, CEO di BigProfiles.ai, apre la frontiera degli agenti autonomi: algoritmi capaci non solo di rispondere o generare contenuti come ChatGPT, ma di agire online al nostro posto. Possono scrivere mail, prenotare voli, fare telefonate, acquistare prodotti in offerta, completare lunghi report prendendosi due ore di tempo. "Siamo ancora in fase sperimentale - racconta - ma diventeranno presto strumenti decisivi per chi si occupa di marketing e comunicazione." Tra i pionieri: Google con Project Astra, OpenAI con Operator, Anthropic con Opus 4.
L'impressione è chiara: stiamo entrando in una nuova era del marketing, dove il centro di gravità si sposta dall'esecuzione alla direzione, dall'output alla relazione. L'intelligenza artificiale è un motore straordinario, ma non basta: serve un nocchiero umano, capace di orientarsi tra onde di dati, scelte etiche e linguaggi profondamente mutati. Il futuro non sarà dei più tecnologici, ma dei più consapevoli.
Scopri qui il progetto e i temi dei prossimi appuntamenti dell'Osservatorio Digital Marketing e Comunicazione Integrata.
Nella foto di apertura di questo articolo, un frame del primo spot tv creato con l'Intelligenza Artificiale. A lanciarlo sui canali tv statunitensi è il sito di scommesse Kalshi. È stato realizzato con Veo3, l'AI di Google. 
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