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25 Aprile 2024 / 13:09
La maturità digitale spinge il Roe delle “banche champion”

 
Banca

La maturità digitale spinge il Roe delle “banche champion”

di Mattia Schieppati - 7 Aprile 2021
Nella quarta edizione del report Digital Banking Maturity 2020 di Deloitte, l’evidenza di come l’investimento nella trasformazione digitale abbia una ricaduta sullo sviluppo del business. Engagement e servizi evoluti per il cliente anche nell’ambito del Personal Finance Management gli elementi che fanno la differenza. L’industry italiana cresce in innovazione, ma servono competenze professionali evolute per sostenere il cambiamento
L’esperienza dell’utente, le funzionalità digitali disponibili e i canali di accesso come misura dell’evoluzione digitale delle banche retail. Non la – ormai decotta – retorica del “cliente al centro”, ma un’analisi reale e documentatissima su come l’industry bancaria attraverso le possibilità e le risorse messe in campo dalla tecnologia sta rispondendo a questo dato di fatto. E anche quanto e come l’evoluzione tecnologica dei clienti abbia spinto e stia accompagnando l’evoluzione digitale delle aziende.
È questa la chiave di lettura più interessante ed efficace del Digital Banking Maturity 2020, il report di Deloitte giunto alla quarta edizione che fotografa lo stato di avanzamento tecnologico di 318 istituti di credito in 39 paesi del mondo, tra i quali 14 italiani (rappresentativi per oltre l’80% degli impieghi e il 65% dei depositi).
«Uno degli elemento più interessanti che emerge dalla ricerca», spiega Gianmaria Trapassi, Partner Deloitte Digital, «è come la sfida della digitalizzazione sia entrata nella sua fase matura. Le banche non dicono più “quel che stiamo facendo per il nostro business digitale”, ma quel che fanno per il business e basta. Il digitale non è più un elemento che si aggiunge alla strategia di sviluppo; è ormai acquisito e scontato che sia parte integrante e integrata in questa strategia. Ed è inevitabile che sia così. Ormai il digitale è un elemento fondamentale per tutto quel che riguarda la relazione con il cliente o per le reti di vendita che abilitano il cliente». A dimostrazione di questo, un dato particolarmente significativo dell'indagine: l'81% delle banche che hanno raggiunto ormai un'elevata maturità digitale sono aziende "incumbent", ovvero l'innovazione passa più dalle banche cosidette "tradizionali" che dai newcomers.

La spinta del Covid

Una tendenza in atto, che ha visto nell’anno appena trascorso una contestualizzazione particolare: il tema della digitalizzazione e dei nuovi canali e modelli di relazione con il cliente ha incrociato l’evento eccezionale della pandemia, che ha accelerato e portato in luce alcuni sottostanti importanti. «Il contesto ambientale è da sempre tra i principali fattori da cui dipende lo sviluppo digitale nei diversi Paesi. Questa relazione causa-effetto si è rivelata ancora più veritiera nel 2020, anno in cui la pandemia Covid-19 ha accelerato l’evoluzione digitale delle banche», osservano da Deloitte.
Come evidenzia il Report, in risposta alle limitazioni attuate per fronteggiare la pandemia (ad esempio il 60% delle banche intervistate ha chiuso o ridotto l’orario di apertura delle proprie filiali, il 6% ha sospeso nuove aperture di conti correnti o limitato l’accesso a prodotti bancari per nuovi clienti), le istituzioni finanziarie hanno implementato proattivamente misure in grado di soddisfare le nuove abitudini di consumo dell’utente, destinate a consolidarsi anche post-pandemia. Ad esempio, il 41% delle banche analizzate ha innalzato il massimale di pagamento in modalità contactless, il 34% delle banche ha messo in atto nuovi processi interamente digitalie il 25% delle banche ha introdotto nuove modalità di prenotazione di appuntamenti presso le filiali sul territorio.

Essere Digital champions conviene

La ricerca suddivide le banche analizzate in 4 categorie (Digital champions, Smart followers, Adopters, Latecomers), che corrispondono al grado di maturità digitale raggiunto. I numeri confermano che a una maggiore evoluzione tecnologica nella proposizione al cliente corrispondono vantaggi a livello di business. Le banche indicate come Digital champion, ovvero in grado di fornire un’ampia gamma di funzionalità digitali al cliente finale, soddisfacendone le esigenze e migliorandone l’esperienza complessiva di utilizzo del servizio. Questo si riflette anche su una migliore performance economica: questi player virtuosi sovraperformano gli altri attori in termini di cost/income e ROE. In particolare, un’area di profondi investimenti digitali negli ultimi due anni è stato il servizio di Personal Finance Management (PFM), in cui i digital champion, grazie all’implementazione di nuovi driver di engagement del cliente (esempio: notifiche sul budget a disposizione/ utilizzato) e di strumenti di cross-selling (esempio: misure di stabilità finanziaria), hanno superato la performance degli altri player di mercato fino a 5,4 volte, coprendo il 90% delle funzionalità digitali identificate a supporto dell’attività di PFM.
«Oggi i clienti sono sempre più self-direct, vale a dire orientati alla gestione dei propri interessi finanziari in larga (totale) autonomia attraverso canali digitali e interazione da remoto con il proprio provider di servizi finanziari, che non sempre è una banca, almeno come la si immagina tipicamente. È quindi necessario evolvere l’offerta di servizi bancari comprendendo anche soluzioni interamente digitali e questo è vero per tutti i segmenti di clientela, non solo per i privati. Le evidenze dello studio dimostrano come i campioni digitali hanno performance commerciali, operative e finanziarie decisamente migliori», commenta Manuel Pincetti, Partner Monitor Deloitte.
 
 

L’Italia è abbastanza matura?

Venendo allo scenario italiano, dal Report emerge come, complessivamente, tutti i player analizzati siano cresciuti nell’ultimo biennio, investendo in innovazione e nello sviluppo digitale. Analizzando infatti i risultati dell’edizione precedente, le banche incluse nel perimetro hanno aumentato il proprio indice di maturità digitale di oltre 10 punti percentuali, in più casi passando al cluster digitalmente più maturo. «La situazione italiana è molto jeopardizzata», osserva Trapassi. «Un elemento che sicuramente fa la differenza rispetto alla capacità di crescita digitale è la dimensione dell’azienda e la sua salute finanziaria: la digitalizzazione non è solo una questione di volontà, ma soprattutto di investimenti, di risorse, di strutture. Chi ha le risorse per sviluppare direttamente una strategia di trasformazione digitale ha un indubbio vantaggio dal punto di vista dell’innovazione competitiva rispetto a chi deve ricorrere a soluzioni standardizzate di fornitori terzi, che inevitabilmente rischiano di appiattire la proposizione».
Un altro tema chiave, collegato a questo, riguarda le competenze – a livello di persone e di “nuovi professionisti” - di cui le banche riescono a dotarsi. «Inizialmente si è trattato di professionalità legate alla customer e alla user experience digitale, le prime a essere integrate dalle banche, mentre via via lo scenario delle competenze necessarie si è evoluto, e sono diventati necessari data scientist (le banche sono aziende “data intensive”) e digital architects, esperti in grado di sviluppare nuovi framework tecnologici», spiega Trapassi. «Per far sì che la banca sia un’azienda attrattiva per questo tipo di professioni evolute l’incentivo della retribuzione non è sufficiente: bisogna dare a queste persone una prospettiva di crescita e di sviluppo che sia competitiva rispetto a offerte che arrivano, per esempio, dalle aziende del tech. La banca non deve sol provarci, ma deve crederci davvero, insomma».
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