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22 Dicembre 2024 / 01:53
Credito, un 2021 all'insegna di sostenibilità e digitalizzazione

 
Credito

Credito, un 2021 all'insegna di sostenibilità e digitalizzazione

di Flavio Padovan - 19 Febbraio 2021
I due temi, fortemente interconnessi, caratterizzeranno il mercato non solo perché rappresentano i capitoli chiave del Recovery Plan, ma anche perché contribuiscono a rafforzare il percorso verso la “credit longevity”. Ne parla Elena Mazzotti, Head of Innovation & Strategy di CRIF, a pochi giorni da Credito a Credito
Quest'anno il mondo del credito sarà trainato da due trend potenti e interconnessi: la digitalizzazione e la sostenibilità. A pochi giorni da Credito al Credito, l'evento di riferimento per il settore promosso dall'ABI, abbiamo incontrato Elena Mazzotti, Head of Innovation & Strategy di CRIF per capire cosa c'è dietro questa previsione largamente condivisa dagli operatori.
“Non sono gli analisti a dirlo, ma i numeri stessi. Mi riferisco in particolare - spiega Mazzotti - a due percentuali, del 20% e del 37%, che rappresentano la quota minima da destinare rispettivamente a trasformazione digitale ed ESG nel Recovery and Resilience Facility, ovvero nel Recovery Plan, come è chiamato generalmente in Italia. Si tratta di due capitoli indipendenti che insieme fanno quasi il 60% del totale dei circa 210 miliardi di euro che, secondo le ultime stime, verranno messi a disposizione del nostro Paese dall’Unione Europea”. Ma ad accomunarli non è solo l'impatto rilevante sul totale delle risorse, continua Mazzotti: “digitalizzazione e sostenibilità sono talmente intrecciati da diventare uno enabler dell’altro. E insieme contribuiscono a creare il percorso verso quello che CRIF chiama “credit longevity”, cioè il supporto a imprese e famiglie che si prolunga nel tempo per rispondere in modo efficace alle loro necessità”.

Una connessione stretta

I dati e le analisi di CRIF aiutano a comprendere meglio le ragioni della convergenza tra sostenibilità e digitalizzazione. Iniziamo dallo scenario del mondo del credito.
“Dopo le pesanti flessioni della domanda di credito delle famiglie italiane che hanno segnato il 2020, il nuovo anno si è aperto con una ulteriore contrazione”, ricorda Mazzotti. Nel mese di gennaio la componente dei mutui immobiliari fa segnare un -6,6% malgrado la vivacità delle surroghe, mentre i prestiti nel complesso vedono un calo del 13,1% rispetto al corrispondente mese del 2020 ascrivibile fondamentalmente alla pesante battuta d’arresto dei prestiti personali, in calo del 27,1% contro il -1,4% dei finalizzati.
La dinamica in atto si conferma in linea con quanto era stato registrato nella seconda parte del 2020, con le famiglie che a fronte della seconda ondata di contagi a partire dall’inizio di ottobre hanno adottato un atteggiamento estremamente cauto, rinviando i propri progetti di spesa e riducendo di conseguenza anche la propensione a richiedere un finanziamento.
In compenso, dopo un 2020 che si era caratterizzato per un andamento contrastato degli importi medi richiesti, il nuovo anno si è aperto con un valore sostanzialmente invariato per i prestiti, pari a 9.431 euro, e una incoraggiante crescita del 3% per i mutui richiesti, pari a 135.677 euro.

Un cambio di paradigma

“In uno scenario ancora caratterizzato da una grande incertezza – commenta Elena Mazzotti - il comparto ha visto una forte accelerazione della digitalizzazione dei processi del credito, che hanno cambiato il paradigma di relazione tra consumatori e player finanziari”. In particolare, sottolinea, durante l’anno 2020 si è registrato un incremento del 47% delle richieste di credito indirizzate verso le piattaforme di operatori “nativi digitali” rispetto al 2019. Tra questi, la crescita più robusta è relativa alla Silent Generation (ovvero i nati tra il 1925 e il 1945), che pur spiegando una quota minoritaria fanno segnare un +83%; segue la Generazione Z “Centennials” (i nati dopo il 1995) che vedono incrementare le richieste su questi canali del 79%.
“Rispetto al credito alle famiglie – spiega Mazzotti - la pandemia ha avuto un effetto diametralmente opposto sulla propensione delle imprese che hanno dovuto fare fronte a una pesante calo dei flussi di cassa”.
Come messo in luce da uno studio di CRIF Ratings, va però sottolineato come quasi la metà delle imprese italiane si sia trovata ad affrontare lo shock causato dalla pandemia partendo da situazioni di liquidità già delicate. Nello specifico, il 38% delle aziende si caratterizzava per una disponibilità di cassa in grado di coprire meno del 50% dei debiti finanziari a breve termine in scadenza, cui si aggiunge un ulteriore 8% di imprese senza particolari margini di manovra. Peraltro, le imprese maggiormente in difficoltà si concentrano tipicamente nei settori più ciclici ed esposti alle dinamiche dei consumi, che non a caso sono anche quelli più colpiti dalla pandemia.
Le difficoltà sul fronte della liquidità, ma anche i provvedimenti varati per favorire l’accesso al credito con le garanzie dello Stato, hanno determinato un forte incremento delle richieste di credito da parte delle imprese: dopo un primo trimestre 2020 che si era caratterizzato per un calo del -14,7% rispetto all’analogo periodo del 2019, anche per effetto del lockdown di marzo 2020 che aveva determinato la paralisi di numerosi settori dell’economia, nel resto dell’anno le aziende si sono rivolte con forza alle aziende di credito al punto che il numero delle richieste presentate a livello di intero anno è cresciuto del 24,5%.
La difficoltà finanziaria delle imprese è testimoniata anche dall’andamento dei pagamenti commerciali: lo scorso anno il numero di aziende italiane che hanno saldato i propri fornitori con oltre 30 giorni di ritardo ha raggiunto il 12,8%, un dato superiore del 21,9% rispetto al 2019 e più che raddoppiato rispetto al 2010, cui va aggiunto un altro 50% che ha saldato le fatture con un ritardo inferiore al mese.
“In questo contesto – sostiene Mazzotti - i player finanziari giocano un ruolo chiave nell’affiancare le imprese in un percorso non solo di ripresa ma anche di sviluppo sostenibile. Il primo passo per l’integrazione dei fattori e dei rischi ESG nel modello di business degli istituti finanziari e la loro successiva mitigazione parte da un’analisi di impatto ESG sui propri portafogli”.

L'impatto dei fattori ESG sulle imprese

Un’analisi originale di CRIF ha quantificato l’impatto ESG su un campione rappresentativo delle società di capitali italiane (circa 800 mila imprese) misurando l’incidenza dei settori sensibili alla tassonomia e la verifica del livello di adeguatezza delle aziende rispetto ai criteri ESG. La prima parte dell’analisi prevede l’applicazione degli attributi normativi stabiliti dalla tassonomia UE che individua 70 attività e 45 codici NACE appartenenti a 7 macrosettori distinguendo le attività produttive in Low carbon, Enablers e Transitional.
Le attività “low carbon” sono già green e allineate alle previsioni della tassonomia (ad es. alcune attività agricole), quelle “enablers” sono abilitanti per altre attività verso la transizione (ad es. alcune attività di elaborazione dati per gestire i rischi fisici), quelle “transitional” sono attività altamente inquinanti che richiedono interventi di riqualificazione al fine dell’allineamento alle previsioni tassonomiche (ad es. manifattura di cemento). Secondo questa analisi il 35% delle società di capitali italiane appartiene a settori eligibili rispetto alla tassonomia .
Una volta categorizzato il portafoglio e quantificato l’impatto dei settori su cui si è inizialmente concentrata la tassonomia (eligibili), la seconda parte dell’analisi prevede il calcolo di uno score ESG per discriminare ulteriormente, all’interno dei settori eligibili, ma anche quelli non eligibili, l’adeguatezza ESG delle imprese. Lo score ESG proprietario di CRIF, basato sul vasto patrimonio informativo CRIF Information Core e su circa 130 KPI in ambito ambientale, sociale e di governance, permette di attribuire un punteggio di adeguatezza ESG che va da 1 (punteggio migliore) a 5 (punteggio peggiore).
Secondo CRIF, circa l’83% delle società di capitali eligible (a maggior impatto ambientale, pari a circa il 35% delle società di capitali italiane) secondo la tassonomia presenta un’adeguatezza ESG medio-bassa e può beneficiare di «finanza sostenibile» per la riqualificazione. I benefici della finanza sostenibile su queste aziende sarebbero rilevanti e si propagherebbero anche alle persone che lavorano nelle relative filiere o consumano i loro prodotti.
“Se l’obiettivo dell’ESG, lo esprime chiaramente la S (Social) dell’acronimo, è anche il miglioramento dell’inclusione sociale – afferma Mazzotti - possiamo dedurre che la trasformazione digitale assolve quindi a un doppio ruolo: è un mezzo per ridurre la disuguaglianza in modo diretto, ma può essere anche il veicolo della finanza sostenibile permettendo, attraverso il digital lending, di raggiungere coloro che necessitano di fondi e potrebbero avere impossibilità ad accedervi fisicamente”.
Un'evoluzione che sarebbe molto più difficile senza la disponibilità di un patrimonio informativo già esistente, ma per sua natura viscoso, come quello relativo ai dati ambientali. Ed anche in questo caso la trasformazione digitale funge da acceleratore. Pensiamo ad esempio all’Open Banking che permette di analizzare in modo statistico i consumi di CO2 determinati da certe categorie di spesa.
“Considerando che i dati sono il carburante che alimenta il motore della trasformazione, uno scrupoloso processo di data governance risulta assolutamente cruciale per preservare la sicurezza delle informazioni, anche personali, e la qualità delle stesse, basilari per la definizione, la realizzazione e il monitoraggio degli obiettivi ambientali e digitali”, puntualizza Mazzotti.

La sostenibilità targata CRIF

Sui temi della digitalizzazione e della sostenibilità CRIF ha scelto un posizionamento differenziante. “Stiamo lavorando su più dimensioni come il potenziamento del core business, quindi dei dati, e l'ampliamento delle relazioni che hanno un impatto rilevante sul tema dell'inclusione sociale. Perché parlare di ESG è ormai abituale – afferma Mazzotti - ma poi come si declina sul piano operativo? Noi abbiamo scelto proprio di investire sul patrimonio informativo e sull'innovazione tecnologica da offrire al mercato con le nostre soluzioni. Puntare, ad esempio, sulla digitalizzazione degli score e dei percorsi di lending e sullo sviluppo di journey digitali facilita l'inclusione sociale. Così come creare ecosistemi aperti dove i player finanziari possano utilizzare soluzioni ‘as a service’ come acceleratori del business a beneficio dell’interazione con imprese e consumatori".
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