Lavorare, che passione
di Ildegarda Ferraro
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5 Ottobre 2021
Può essere una tragedia o una gioia. Può anche essere una passione. Lavorare dico. Certo molti elementi contribuiscono a definire le condizioni complessive, ma probabilmente dipende anche da noi
«Credo che dobbiamo puntare a fare del nostro lavoro una passione. Non la sola, ma una passione insieme a tante altre. È quello che fa la differenza. E dell’azienda un rifugio, un porto. Un posto con informazioni semplici e chiare, dalla fonte certa». Chi parla è Andrea Zorzi, il Responsabile della Comunicazione interna di Intesa Sanpaolo. E io resto senza parole per la semplicità e l’efficacia nel raccontare l’obiettivo. Non voglio dire che sia una cosa semplice, ma da un tecnico che si è trovato a gestire contemporaneamente gli effetti della pandemia in azienda e l’integrazione in un corpo di 80mila persone di altre 16mila ti aspetti schemi e piani d’azione, algoritmi e intelligenza artificiale. Insomma, ti aspetti i piani di guerra. E invece lui dice: «Ci dobbiamo appassionare». Che sembra facile, ma forse è la cosa più difficile del mondo. Perché il lavoro può essere una passione nel senso di croce, oppure una passione nel senso di emozione. Insomma, croce e delizia. Spesso è un po’ l’uno e un po’ l’altro.
Ora abbiamo tutti presente le varie scorciatoie, Luigi Barzini jr e il suo «fare il giornalista è sempre meglio che lavorare». Confucio: «Fai il lavoro che ami e non lavorerai tutta la vita». Non voglio farla troppo difficile, ma certo anche il mio stratega preferito Sung Zu arriva più o meno alle stesse conclusioni nell’Arte della guerra, «Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento bensì sottomettere il nemico senza combattere», e anche «I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi vanno in guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere».
Torno a Zorzi, che dice: «Sentirsi entusiasti di un tessuto sociale che è un’azienda è fondamentale per andare a lavorare volentieri la mattina, anche se si stanno vivendo dei cambiamenti e cambiano i punti di riferimento. Il legame resta caro se si è parte di un insieme con i colleghi e i clienti». «Facciamo molto ascolto strutturato», aggiunge Zorzi, «anche 180-190 survey l’anno per capire anche fasce specifiche ella popolazione aziendale. Da questi ascolti emerge sempre negli anni che è importante lo stipendio, veder valorizzato il merito, avere riconoscimenti, ma le due cose più importanti sono il rapporto con i colleghi e il rapporto con i clienti».
Certo molte cose contano, ma sicuramente qualcosa dipende anche da ognuno di noi. E un po’ bisogna volerlo. Chi riesce a vederla così ha le carte in regola per farcela. Perché probabilmente la soluzione è lì, scomporre il quadro fino ad arrivare al nocciolo vero della vicenda. In fondo «lavorare è sempre meglio che lavorare».