Studio di settore per la web tax?
di Mattia Schieppati
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11 Aprile 2017
Un'ipotesi per la tassazione dei giganti del Tech sarebbe già allo studio del ministro dell'Economia Padoan. E intanto anche la procura di Milano sottolinea la necessità di una strategia internazionale condivisa
Potrebbe essere solo un déja-vu o forse questa volta qualcosa potrebbe succedere. Ma dagli ultimi atti, tanto dei Gruppi parlamentari quanto dello stesso ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, pare che l'intenzione di avviare un meccanismo di accertamento e quindi di tassazione specifica delle company tecnologiche che operano sulla Rete pur con sedi al di fuori dei confini italiani, sia tornata nell'agenda della politica economica e fiscale. La scorsa settimana in occasione dell'Assemblea dei deputati Pd è stato infatti il ministro Padoan a dichiararsi favorevole a una qualche forma di web tax, e una delle ipotesi sul tavolo del ministero potrebbe essere quella di costruire un meccanismo di tassazione sui dati raccolti e sui profili degli utenti delle grandi piattaforme sulla rete con un metodo di misurazione statistica dei consumi effettuati: una sorta di studio di settore dell'economia digitale.
«Ritengo che sia un'area assolutamente indispensabile da esplorare ma complessa per ragioni sia politiche che tecniche», aveva già dichiarato Padoan a febbraio davanti alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato, pur sottolineando che «dal punto di vista politico una tassa simile sarebbe ottimale se adottata da più paesi almeno a livello europeo e dal punto di vista tecnico ci sono problemi non semplici nell'individuazione della base imponibile e di conseguenza nell'adozione di misure pratiche».
A riaccendere la miccia di questo tema esplosivo è stata in realtà una voce esterna alla politica come quella del Procuratore capo di Milano, Francesco Greco, che in audizione alla Commissione Industria e Finanze del Senato sul ddl di regolamentazione fiscale delle attività delle multinazionali del digitale ha sottolineato che, chiuso il procedimento avviato dalla sua procura contro Apple (l'azienda ha pagato al fisco un ravvedimento per 310 milioni), sono rimasti ancora aperti contenziosi con Amazon, Google e Facebook. «Tutti i gruppi che abbiamo investigato hanno aderito all'accertamento fiscale e questo è significativo del fatto che qualche problema loro ce l'hanno quando si muove il fisco», ha spiegato Greco, lasciando quasi intendere che forse se arrivasse una normativa seria e condivisa a livello internazionale, le stesse aziende del tech potrebbero trovarla utile.
«La tracciabilità delle merci ha due punti di controllo che sono le dogane e i magazzini di stoccaggio che sono verificabili», ha detto Greco, «mentre la tracciabilità dei bit implica la collaborazione dei gestori. Il profitto di questi gruppi non è allineato a quella dei normali commercianti», ha aggiunto il Procuratore capo, spiegando che «gli accertamenti come quello su Apple ha riguardato solo la grande distribuzione e non le transazioni retail online, che sono il 50% del ricavato di questi colossi del web» perché permangono «grandi problemi in termini di accertamento in quanto nel mondo non è stata ancora trovata una soluzione omogenea nell'affrontare la tassazione sul web». È un problema che, secondo Greco, va affrontato «sotto il profilo dell'antitrust, della fiscalità e della tutela dei dati che vengono raccolti».