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11 Maggio 2024 / 02:26
 
Artemisia Gentileschi rivive a Napoli nelle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo

 
Banche e Cultura

Artemisia Gentileschi rivive a Napoli nelle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo

di Maddalena Libertini - 29 Dicembre 2022
Nel nuovo spazio espositivo partenopeo di Intesa Sanpaolo, una grande mostra dedicata alla più celebre artista del Seicento Italiano mette per la prima volta in primo piano la stagione napoletana della “pittora” che in questa città ha trascorso più di un terzo della sua vita
Artemisia non ha bisogno di presentazioni: come i grandi maestri dell’arte italiana, Michelangelo, Raffaello, Leonardo, basta il nome per identificarla. Ma la sua eccezionalità non sta solo nella bravura di pittrice, quanto anche, e principalmente, nel suo essere donna.
Di quella manciata di artiste a cavallo tra il ’500 e il ’600, Plautilla Bricci, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e poche altre, Artemisia Gentileschi è senza dubbio la più nota. La fama popolare è stata però legata soprattutto alle sue vicende biografiche – lo stupro da parte di Agostino Tassi, la denuncia, il processo – che ne hanno fatto l’icona dell’emancipazione femminile, il simbolo di una donna coraggiosa che si ribella alle convenzioni sociali e che con tenacia persegue il proprio talento in un ambito che ancora oggi risente di un predominio degli uomini. Una lettura corretta e certamente molto in sintonia con l’epoca contemporanea come ha dimostrato anche la Biennale Arte di Venezia “Il latte dei sogni” che ha sottolineato la necessità di tracciare genealogie alternative della storia dell’arte, finora a prevalenza maschile.
Tutto giusto, dunque, ma per altri versi non sufficiente. Artemisia, al di là del genere, è un’artista di grandissimo livello, che ha appreso la lezione di Caravaggio e del padre Orazio e su questa ha modellato la propria voce autonoma e identificativa.
A ricordarlo arriva la mostra “Artemisia Gentileschi a Napoli” nella nuova sede delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, inaugurata a maggio di quest’anno nella città partenopea sulla centralissima via Toledo. La mostra, aperta dall’inizio di dicembre fino al 19 marzo 2023 e curata da Antonio Ernesto Denunzio e Giuseppe Porzio con la consulenza speciale di Gabriele Finaldi, richiama l’attenzione del pubblico e della critica proprio sul soggiorno della pittrice a Napoli, dal 1630 alla sua morte nel 1654, un lungo periodo interrotto solo da un breve passaggio a Londra tra il 1638 e il 1640. Si tratta quindi di una fase matura e poi conclusiva della sua carriera, in cui Artemisia è una artista affermata chiamata in città da un incarico per il viceré spagnolo e in grado di stabilire qui una fiorente bottega e orchestrare il lavoro di aiutanti e colleghi in singole opere o in cicli di tele.
Proprio su questa fitta rete di collaborazioni con gli artisti locali a lei contemporanei fa luce il progetto espositivo, sostenuto da una imponente ricerca di archivio, che ha permesso di ricostruire i legami con i migliori esponenti del milieu napoletano, tra cui Massimo Stanzione, Paolo Finoglio, Francesco Guarino, Andrea Vaccaro, Onofrio Palumbo e Bernardo Cavallino e, in alcuni casi, anche di riconoscere i diversi contributi e definire le attribuzioni all’interno di alcune opere. Tra le acquisizioni più interessanti dovute alla mostra c’è, come ricorda Porzio nel catalogo, il riconoscimento che il nome di Artemisia “doveva valere come una sorta di marchio di fabbrica, garantendo più la responsabilità ideativa che la coerenza esecutiva di un prodotto”. In altre parole, a Napoli l’artista avviò un’officina ben organizzata che all’epoca raggiunse una vasta produzione commerciale per la quale era necessario un lavoro di squadra di aiutanti di valore, tra cui la figlia Prudenzia Palmira, Cavallino e Palumbo. Questo denota, quindi, anche uno spiccato talento imprenditoriale e di capacità di gestione e amalgama di diverse personalità artistiche sotto la sua salda direzione. Era Artemisia a stabilire la concezione, l’impostazione creativa, l’iconografia, forse anche la tipologia attraverso l’impiego di cartoni, integrando sapientemente le qualità pittoriche dei suoi subordinati come, per esempio, le competenze specialistiche nell’esecuzione di paesaggi o sfondi architettonici.
La mostra si apre però su un capolavoro giovanile, “Santa Caterina d’Alessandria”, a cui l’artista stessa presta il volto, di recente acquisito dalla National Gallery di Londra. Il prestito ricorda che “Artemisia a Napoli” rappresenta un approfondimento della rassegna monografica, la prima del Regno Unito, dedicata all’artista dall’istituzione museale britannica nel 2020 e sancisce la sinergia con il gruppo bancario italiano avviata nel 2016.
Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo, richiama: “L’iniziativa, che si avvale di importanti prestiti dall’Italia e dal mondo, è stata realizzata grazie alla partnership con la National Gallery di Londra e si inserisce in un ampio progetto di studi ed esposizioni, condiviso con il prestigioso museo britannico sulla grande artista. Con questa iniziativa la nostra banca conferma il forte legame con Napoli e l’impegno a valorizzare l’identità culturale della città in una prospettiva europea e internazionale.”
Sono, infatti, circa 50 le opere che sono convogliate a Napoli, alcune per la prima volta, da musei e collezioni private internazionali e quasi la metà sono firmate da Artemisia, a ricostituire circa un terzo di tutto il corpus conosciuto dell’artista. Un grande sforzo che ha visto la collaborazione del Museo e Real Bosco di Capodimonte, dell’Archivio di Stato e dell’Università degli Studi di Napoli L’Orientale e il patrocinio del Comune di Napoli.
C’è, infine, un altro merito della mostra: il recupero di due lavori e la riscoperta di Diana Di Rosa, più conosciuta come Annella di Massimo, la più importante artista napoletana del XVII secolo e allieva prediletta dello Stanzione. Una infondata leggenda letteraria settecentesca l’ha tramandata vittima di violenza di genere, uccisa ingiustamente per gelosia dal marito, il pittore Agostino Beltrano. Un tempo famosa – una strada del Vomero ne porta il nome –, negli anni Annella ha visto la sua notorietà eclissarsi e solo recentemente gli studi stanno ricostruendo il catalogo delle sue opere.
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