Retail Banking, una trasformazione in 6 punti
di Flavio Padovan
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29 Marzo 2018
Alberto Antonietti, Financial Services Lead di Accenture Strategy analizza i principali trend che stanno cambiando lo scenario del retail banking in Italia e le sfide da affrontare. E, anticipando alcuni temi del suo intervento a #ILCLIENTE, indica anche le possibili ricette per affrontare questa evoluzione
È un settore che deve affrontare una grande trasformazione quello del retail banking. E per farlo deve acquisire una forte visione strategica del futuro e deve evolvere i modelli di business e operativi in uso per adeguarli al mutato scenario competitivo e alle nuove esigenze dei clienti. La strategia che le banche stanno mettendo in campo per affrontare il cambiamento ruota intorno ad alcuni perni fondamentali: la centralità del cliente, detta anche Customer Relevance, la costruzione di ecosistemi finanziari allargati a operatori non tradizionali e il ripensamento della propria gamma di servizi in ottica ‘Phygital’, un approccio che mixa insieme le componenti digitali dei processi con l’alto valore delle offerte consulenziali. Ma qual è oggi la situazione del mercato? Quali sono i principali punti di attenzione dell'attuale modello di retail banking? Lo abbiamo chiesto ad
Alberto Antonietti, Managing Director, Financial Services Lead di Accenture Strategy, che anticipa a Bancaforte alcuni dei temi dell'intervento che terrà a
#ILCLIENTE, il nuovo evento promosso dall'ABI che riunisce i tradizionali appuntamenti Dimensione Cliente, Dimensione Social & Web e Forum CSR per affrontare in modo completo il mondo del retail banking.
Quali sono i principali trend di cambiamento che caratterizzano il retail banking italiano?
“Negli ultimi anni stiamo assistendo a una progressiva polarizzazione del mercato italiano. In particolare abbiamo registrato un significativo “flight to quality” da parte della clientela, con un importante spostamento di masse dalle banche che hanno dovuto affrontare momenti di crisi a vantaggio di quelle più solide dal punto di vista del capitale e di quelle che stanno applicando un modello commerciale particolarmente proattivo. La struttura dell'offerta è stata così ridisegnata con una variazione delle quote di mercato. Inoltre si afferma sempre più l'importanza della specializzazione, come emerge chiaramente dai dati. Nel periodo 2012-2016 sono cresciuti moltissimo, garantendo anche un'ottima redditività, i business gestiti da players che hanno adottato un modello molto focalizzato, utilizzando canali anche di terzi. Ad esempio il credito al consumo ha aumentato le proprie masse del 45% generando un Roe al 2016 del 17%. Risultati ancora migliori ha ottenuto chi ha puntato sulla promozione finanziaria - che ha registrato un balzo del 47% dei volumi con una redditività superiore al 20% - e sull'asset management, cresciuto del 50% e con il 21% di Roe. Per non parlare di un business nuovo, quello dell'Npl Management gestito da operatori terzi, che a ottobre scorso segnava già un +72%, ma che nel frattempo è ulteriormente cresciuto”.
Una crescita trainata da modelli innovativi?
“È esattamente così. I player specializzati stanno conquistando quote di mercato dei business più redditizi. Nello stesso periodo di riferimento, cioè tra il 2012 e il 2016, le banche commerciali hanno registrato una riduzione delle masse amministrate e una redditività media significativamente inferiore. Ma in questo scenario già complesso ci sono almeno 6 fenomeni che vanno innovati nell'attuale modello di business della banca commerciale in Italia e che devono essere affrontati per poter continuare a svolgere un ruolo centrale anche in futuro”.
Quali sono le sfide delle banche retail italiane?
“Innanzitutto, la limitata differenziazione del posizionamento strategico. Un po' tutte le banche commerciali operano necessariamente negli stessi business e si rivolgono agli stessi segmenti di clientela. Le banche che hanno una scala significativa o specifici vantaggi competitivi riescono a farlo in modo sostenibile, mentre le altre fanno più fatica. Un secondo tema molto importante da affrontare riguarda un aspetto del modello distributivo: l'impegno dedicato ai differenti segmenti può essere ottimizzato. Secondo le analisi di mercato, confermate concretamente anche da progetti che abbiamo seguito direttamente, il 60-70% dei costi sono rivolti al mass market che genera il 20-25% dei ricavi complessivi. Quindi uno sforzo elevato verso segmenti a valore potenziale contenuto, mentre le aree Affluent, Private, Small Business, Corporate che generano l'80% dei ricavi possono essere maggiormente sviluppate, per non essere attaccate da player specializzati. Il loro progressivo rafforzamento, infatti, è il terzo fenomeno che pone una sfida al modello tradizionale di banca e che richiede adeguati investimenti. Proseguendo in questa analisi, il quarto tema su cui suggeriamo di focalizzare l'attenzione è la distribuzione perché nel retail banking fa fatica a generare valore sostenibile. Un ruolo che sono ritornate a svolgere le fabbriche prodotto, in particolare quelle dell'asset management e del mondo assicurativo, ma anche quelle dei servizi più tradizionali quali mutui, conti correnti, credito al consumo. Di qui l'importanza di trovare sbocco anche al di fuori dei canali distributivi captive, cioè tramite partneship, canali terzi, agenti”.
E il digitale come impatta?
“In modo importante, ed è infatti il quinto punto che il retail banking deve affrontare. Se andiamo a vedere le analisi che fanno gli investment banker, le strategie e gli investimenti nel mondo digitale rappresentano uno dei fattori distintivi delle banche valutate meglio dal mercato. Oltre al il livello di spesa per la trasformazione digitale, ancora limitato rispetto a quello degli altri Paesi occidentali, in Italia le banche faticano anche a delimitare e comunicare con fermezza le aree di focalizzazione del proprio business e a individuare degli strumenti più efficaci per misurare il ritorno dei propri investimenti in innovazione. Inoltre, gli investimenti hanno portato a un netto miglioramento della capacità transazionale della clientela in modalità self, ma possono influire in misura maggiore sulla produttività della forza vendita. Il potenziamento della capacità commerciale tramite il digitale è un obiettivo strategico non ancora pienamente raggiunto, e che sta trovando solo oggi spazio nei piani industriali”.
Quali ricette si possono dare alle banche per superare al meglio questa transizione?
“Non esistono soluzioni valide per tutti: per intervenire efficacemente è necessario valutare la situazione di ogni singola banca. In generale, però, riteniamo che per uscire da questa fase di transizione non saranno sufficienti solamente operazioni di fine tuning o interventi tattici sul lato distributivo. Quello che suggeriamo è l'adozione di una visione più forte che comporta la scelta dei business su cui specializzarsi e l'allineamento della forza lavoro ai pool di valore più redditizi. La workforce transformation è sicuramente un fattore centrale di questa evoluzione del settore, e a nostro avviso comporterà anche la revisione di forme contrattuali rimaste da molti anni sostanzialmente immutate. Infine, fondamentale è l'utilizzo dei dati e la loro gestione scientifica per governare l'azione commerciale sui diversi segmenti di clientela. Il traguardo da questo punto di vista è la trasformazione verso il modello della data driven bank”.