Sandbox, la via italiana alla sperimentazione nel Fintech
di Massimo Cerofolini
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20 Febbraio 2020
Partita la consultazione sul regolamento proposto dal Mef. Anche l’Europa raccomanda questo spazio monitorato dalle autorità di vigilanza per testare le proposte di start-up e aziende che innovano nella finanza. Tra favorevoli e contrari ecco l’accoglienza di alcuni protagonisti di casa nostra …
Nel linguaggio comune è quel recinto di sabbia dove i bambini possono sfogarsi con castelli, piste per le biglie e scherzi di ogni tipo, anche se vivono lontano dal mare. Nel mondo delle banche, invece, il termine sandbox ha finito per assumere un significato diverso: indica lo spazio in cui sperimentare nuovi prodotti, servizi e modelli di business di genere finanziario, creditizio o assicurativo, sotto il monitoraggio delle autorità di vigilanza. In parole povere, un’area protetta e regolata, ma con effetti operativi sull’esterno, dove si testano le innovazioni del Fintech. Auspicato dall’Europa, già attivo in diversi Paesi dell’Unione, il recinto di sabbia per gli operatori della tecnofinanza è ora oggetto di un Regolamento del Mef, in consultazione fino al 19 marzo.
Ma andiamo con ordine. Partiamo dal quadro europeo. La disciplina unitaria del sandbox è uno dei temi al centro delle 30 raccomandazioni presentate a dicembre dal Rofieg (Regulatory Obstacles to Financial Innovation Expert Group), il gruppo di esperti della Commissione di Bruxelles sul Fintech. Spiega Antonella Sciarrone Alibrandi, prorettore dell’Università Cattolica di Milano, unico membro italiano dell’organismo, che nei giorni scorsi ha presentato nel suo ateneo il report degli esperti Ue davanti a un centinaio di addetti ai lavori: “L’obiettivo è sostenere la Commissione e il Parlamento europeo nel varo di regole capaci di promuovere l’innovazione tutelando al contempo il sistema finanziario e il risparmio dei consumatori. Si parla di temi emergenti come intelligenze artificiali, blockchain, sicurezza informatica, inclusione finanziaria, parità di condizioni tra i soggetti vecchi e nuovi, piccoli e grandi. E tra le varie proposte presentate dal nostro gruppo di lavoro c’è quella di un’unica sandbox di portata europea, in modo da avviare un forte coordinamento tra i diversi Stati membri. Dobbiamo evitare che, malgrado il mercato comune, ognuno si faccia le sue regole”.
Un Sabdbox Lab europeo
Un invito che la Commissione Ue ha già cominciato a raccogliere. Osserva
Mario Nava, che a Bruxelles dirige la Dg Financial Stability, Financial Services and Capital Markets Union, altro ospite dell’evento alla Cattolica: “Due sono le cose da fare per contribuire allo sviluppo del Fintech in Europa. Da una parte consolidare il mercato interno cercando di eliminare tutto ciò che impedisce al digitale di avere le economie di scala che hanno fatto la fortuna delle aziende europee. Dall’altra pesare le opportunità e i rischi, visto che ci troviamo in un’area nuova. In questo senso iniziative come il sandbox sono essenziali. E noi abbiamo appena lanciato un Sandbox Lab, dove riuniamo i regolatori europei che hanno messo in piedi attività di questo tipo”.
Il regolamento del Mef
Anche il nostro Paese si è messo in moto. Qualche giorno fa, il Ministero dell’economia e finanze ha diffuso la bozza di regolamento sul sandbox, ora al vaglio degli operatori. Racconta
Stefano Cappiello, ex Bankitalia, ora in forza al Mef a capo della direzione Sistema bancario e finanziario - Affari legali, con una delega specifica sull’intera galassia Fintech: “L’innovazione tecnologica nella finanza è una moneta con due facce, in quanto presenta contemporaneamente opportunità e pericoli. Per questo il legislatore ha deciso di proporre un regime speciale per favorire una fase di sperimentazione, un’area regolamentata in cui è possibile testare in sicurezza le nuove offerte tecnologiche. È un obiettivo molto ambizioso, specie se si considera che l’arena del Fintech è composta da realtà estremamente diverse tra loro”.
Nel merito, spiega Cappiello, il regolamento ha due aspetti. Il primo è l’istituzione del Comitato Fintech, un nuovo organismo che raccoglie ministeri, autorità di vigilanza e altre entità pubbliche come il Garante della Privacy o l’Agenzia per le Entrate. “Per ciascuna di queste realtà – dice il responsabile del Mef – la presenza nel sandbox è una sfida enorme, che può essere affrontata soltanto coordinando le forze in campo. Da una parte infatti si devono adeguare paradigmi tradizionali a situazioni inedite, cosa non facile, e dall’altra bisogna raggiungere posizioni comuni e coerenti in modo da evitare scelte schizofreniche. Ecco, un tavolo su cui tutti i referenti pubblici siedono insieme, scambiandosi le rispettive esperienze e mettendo a punto strategie uniformi, è un deciso passo avanti per tutto il settore”.
Il secondo aspetto del regolamento è il meccanismo del sandbox. Banche, start-up e aziende tecnologiche possono chiedere l’accesso alla sperimentazione dei loro servizi attraverso una serie di finestre temporali che si aprono durante l’anno. A quel punto ci sono 12 mesi di tempo, prorogabili fino a 18, per testare i progetti direttamente sul mercato. Con un duplice scopo. Da un lato, i rappresentanti delle autorità possono guidare passo passo i processi nel rispetto delle regole, dall’altro gli innovatori possono richiedere piccole deroghe alla normativa, ovviamente entro i limiti stringenti dati da leggi europee o nazionali, oppure suggerire modifiche da proporre al legislatore. “Il valore del sandbox – continua Cappiello – sta proprio in questo dialogo continuo che si crea tra vigilanti e vigilati”.
La voce del mondo bancario …
Come procede la consultazione tra gli interessati? In modo articolato. Il mondo delle banche tradizionali sembra favorevole alla sperimentazione protetta, anche se rimangono alcune perplessità sui dettagli. Dichiara Victor Massiah, amministratore delegato del gruppo Ubi, ora alle prese con la scalata di Intesa: “Come si fa a non appoggiare questa proposta? Se non sei uno innamorato della tua azienda ma credi nel sistema c’è soltanto da essere favorevoli al sandbox. Il punto da chiarire è però quello sulla durata. Ogni singola soluzione ha caratteristiche diverse e fissare una regola unica sulle tempistiche rischia di generare qualche squilibrio. Se grazie alle deroghe, per esempio, una nuova impresa raggiunge una dimensione congrua nel giro di sei mesi, a quel punto deve scattare la regolamentazione ordinaria. Non ha senso aspettare altro tempo e permettere che questa azienda si ingrandisca fuori dalle norme che tutti gli altri rispettano”.
… e quella del mondo Fintech
Diviso invece il mondo del Fintech. Fieramente contro il sandbox, per ragioni opposte a quelle di Massiah, è Christian Miccoli, cofondatore di Conio, azienda che permette di cambiare bitcoin in 30 secondi, partita con un servizio per gli utenti e ora impegnata in una serie di accordi con le banche: “Sono molto contrario all’idea di un monitoraggio dell’autorità di vigilanza. Mi sembra di essere come un bambino accompagnato dal genitore. Se questo è lo spirito abbiamo finito di innovare. Non solo. Che senso ha disegnare un servizio innovativo per poi doverlo cambiare dopo pochi mesi perché il test è finito e bisogna riapplicare le vecchie regole? In generale credo che si stia sottovalutando l’importanza di far crescere le giovani aziende finanziarie nel nostro Paese, in un mondo sempre più dominato da compagnie globali che sono diventate gigantesche nel giro di pochissimi anni. Questo non è un gioco, come la parola sandbox fa pensare a molti. Questa è la partita decisiva per l’Italia”.
Più positivo, invece, il giudizio di Pietro Cesati, fondatore di Soisy, piattaforma con un algoritmo che permette di erogare crediti a rate in pochi secondi durante gli acquisti online, mettendo insieme consumatori che necessitano di un prestito e investitori che cercano tassi di interesse più vantaggiosi: “Mi piace l’idea del sandbox perché permette a chi innova di provare un servizio fuori dagli stringenti vincoli normativi. Noi di Soisy, soltanto per cominciare a toccare palla, abbiamo dovuto spendere mezzo milione di euro in adempimenti preliminari previsti dalla legge. E questo è contrario alla crescita di una start-up, che deve imparare, correggere e rilanciare con la minima spesa e la massima velocità. Grazie al sandbox, ritengo, puoi capire già dall’inizio se c’è un interesse del mercato sul tuo prodotto, in modo che soltanto dopo farai gli investimenti per metterti in regola”.
Come procede all’estero la collaborazione tra autorità e sviluppatori?
Paola Fico è la responsabile Regolamentazione di Borsa Italiana, colei che valuta rischi e opportunità nelle nuove normative. Osserva: “Alla Borsa di Londra, che è proprietaria di quella di Milano, abbiamo lanciato una sperimentazione con una start-up che si occupa di blockchain. I risultati sono molto positivi: l’autorità di controllo viaggia con gli innovatori, lavorando sempre in tandem. Corregge le imperfezioni ma accetta di essere corretta quando capisce che le norme sono inutilmente rigide, al punto di proporre modifiche alla regolamentazione. È una gran fatica, perché tutti devono imparare a pensare out of the box e sporcarsi le mani con la possibilità di sbagliare. Cosa nelle corde di uno startupper, ma non facile per chi, per statuto, è abituato a dire soprattutto di no”.
Una partita aperta, insomma. E complessa. È difficile immaginare i compassati funzionari degli organismi di vigilanza italiani gomito a gomito nel recinto di sabbia con – per esempio – un ventenne “affamato e folle” che ha appena sviluppato un’app per la finanza dalle prestazioni performanti ma di precaria compatibilità con le norme antiriciclaggio. Come conciliare, per esempio, il doveroso rispetto delle regole con l’attitudine alla velocità e la cultura del fallimento tipica degli innovatori? Ammette Cappiello: “È necessario un grande sforzo di comprensione da parte di tutti, ognuno è chiamato ad ascoltare. Certo non si può però prescindere dall’esigenza di legalità né si può aver paura del monitoraggio. Il regolamento sul sandbox è l’occasione per intensificare il dialogo tra le parti che comincia già nella fase di incubazione. E questo porterà più certezza: si affrontano i problemi dalle prime fasi dell’avventura e non più alla fine, quando sono già state usate tantissime risorse. I latini dicevano festina lente, affrettati lentamente. Ecco noi stiamo facendo le cose un passo alla volta, con la dovuta calma, ma l’obiettivo è chiudere in modo rapido ed efficace”.