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19 Marzo 2024 / 05:13
 
Lee Miller, la musa che diventò artista

 
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Lee Miller, la musa che diventò artista

di Maddalena Libertini - 7 Marzo 2023
A palazzo Franchetti a Venezia “Lee Miller - Man Ray, Fashion, Love, War” restituisce alla fotografa americana il ruolo di protagonista in una vicenda artistica e umana che l’ha vista spesso oscurata dalla notorietà di Man Ray, di cui è stata allieva, collaboratrice, amante e poi amica sodale fino alla fine della vita. Tra surrealismo, ritratti, campagne pubblicitarie e reportage di guerra, le opere in mostra raccontano di uno spirito libero e indomito e un talento artistico che si stagliano sullo sfondo dei grandi eventi della storia.
Alla fine della primavera del 1929 Lee Miller (1907-1977) bussa alla porta di Man Ray (1890-1976). Lei è una giovane modella di Vogue e di altre importanti riviste di moda, lui un artista d’avanguardia legato al surrealismo che passerà alla storia soprattutto per le sue sperimentazioni fotografiche. Sono entrambi americani ma l’incontro avviene nella Parigi che ancora per almeno un decennio resterà il crocevia fondamentale per artisti, scrittori, intellettuali, mecenati e fuoriclasse della mondanità internazionale.
Lee Miller diventerà l’apprendista di Man Ray per nove mesi, poi sua modella, assistente e collaboratrice artistica, mentre aprirà un proprio studio nella capitale francese. La loro relazione sarà anche intima fin quando, nel 1932, Lee la troncherà per trasferirsi a New York. Dopo il primo iniziale distacco, dal 1937 il loro rapporto riprenderà e si trasformerà in una solida amicizia che resterà una costante nella mutevole esistenza di lei, che la vedrà essere anche la prima donna reporter di guerra.
Questo rapporto è al centro della mostra “Lee Miller - Man Ray, Fashion, Love, War” a Palazzo Franchetti a Venezia fino al 10 aprile 2023. L’esposizione, curata da Victoria Noel-Johnson, prodotta e organizzata da CMS.Cultura in collaborazione con ACP-Palazzo Franchetti e di cui il Gruppo Unipol è main sponsor, raggruppa circa 140 fotografie di Lee Miller e di Man Ray, alcuni oggetti d’arte e documenti video. Ne emerge, in particolare tra il 1930 e il 1932, un sodalizio basato su un piano di parità e di ispirazione reciproca, in cui lei prese in mano la maggior parte degli incarichi lasciando che fosse lui a firmarli per riscuotere i compensi, rendendo quindi difficile oggi isolare il contributo creativo dell’uno e dell’altra. Di contro lui la introdusse tra gli amici artisti e incoraggiò e promosse il talento di lei.  
"Un'esposizione che grazie agli scatti sublimi di Miller e Ray – afferma Vittorio Verdone, Direttore Corporate Communication e Media Relation del Gruppo Unipol – ci fa ripercorrere l'intensità degli anni ruggenti, la Parigi crocevia di moda, letteratura e dell'arte che si apriva al tratto surrealista che ha fortemente caratterizzato le loro fotografie. E poi la Miller della rappresentazione dell'orrore scatenato dalla seconda guerra mondiale. Estetica e storia, bellezza e tragedia. Una mostra sostenuta con convinzione da parte del Gruppo Unipol, nel solco di un programma di interventi di sponsorship sempre attenti alla crescita culturale della collettività".
“Preferisco fare una foto che essere una foto”
Con questa affermazione in un’intervista del 1932 Lee Miller dimostra di voler ribaltare il punto di vista. Nella sua scelta di diventare fotografa c’è la volontà, condivisa con altre esponenti della cerchia surrealista, di sottrarsi al destino femminile di “musa” altrui e di passare dall’altra parte dell’obiettivo o del cavalletto, rivendicando la propria autonomia dalla visione maschile e la propria soggettività creativa.
Dora Maar, anche lei brillante e talentuosa fotografa surrealista, fu soggiogata e parzialmente annientata da quello sguardo maschile, nel suo caso esercitato da Pablo Picasso che di lei fece oltre 500 ritratti. Quando lui la lasciò, le aveva talmente rubato l’anima che Dora dovette ricoverarsi in una clinica psichiatrica.
Anche il lavoro delle altre artiste del gruppo, Leonora Carrington, Meret Oppenheim, Leonor Fini, Dorothea Tanning, Remedios Varo, Kay Sage, è stato a lungo trascurato e marginalizzato. Solo negli ultimi anni è stato oggetto di una riscoperta sia attraverso importanti progetti espositivi, sia con un rilancio del loro valore di mercato.
Lee Miller, Fire Masks, 21 Downshire Hill, London, England1941 (3840-8) © Lee Miller Archives England 2022. All Rights Reserved. www.leemiller.co.uk
Un’inesauribile energia
Lee Miller è una donna libera da inibizioni, indipendente e determinata. La fotografia la attrae per la capacità di rinnovarsi velocemente: “La pittura è un’attività molto solitaria, mentre la fotografia è decisamente più sociale. Per di più, quando finisci hai sempre qualcosa in mano: ogni quindici minuti produci qualcosa”, dirà nel 1975, come viene ricordato nel catalogo edito da Skira.
In questa disciplina, poi, non è totalmente autodidatta quando incontra Man Ray. Suo padre, ingegnere meccanico, era un fotografo dilettante, appassionato di fotografia stereoscopica e, dal suo lavoro di modella per Vogue USA e Vogue France, Lee cerca di imparare il più possibile posando per due maestri come Edward Steichen e Georges Hoyningen-Huene. Tutto quello che apprende lo assimila e lo reimpiega, come con l’illuminazione fotografica, acquisita a 18 anni frequentando la scuola di tecnica teatrale dell’artista ungherese Ladislas Medgyès a Parigi. Per mantenersi, fotografa a pagamento le operazioni di un chirurgo, un’esperienza che riutilizzerà scattando un servizio su un ospedale da campo durante la guerra. Quando collabora con Man Ray, sarà lei a riscoprire casualmente la tecnica della solarizzazione che lui userà sistematicamente e che diventerà una delle sue cifre stilistiche. E quando nel 1930 Lee coraggiosamente aprirà da sola il suo studio di Parigi, senza il nome di un uomo accanto, sarà ripagata da un flusso continuo di clienti facoltosi del jet set che vorranno essere ritratti da lei. Di lì a poco a inizierà a pubblicare le proprie foto su Vogue, su cui continuerà ad apparire anche come modella. Poi è di nuovo pronta a ripartire spostandosi a New York, in Egitto e a Londra e a reinventarsi ancora una volta diventando corrispondente dal fronte bellico. Si spinge fino al campo di Dachau nel 1945, e da lì nell’appartamento di Hitler a Monaco dove si fa fotografare nuda nella vasca da bagno. Quell’orrore le provocherà un disturbo da stress post-traumatico e una depressione cronica che Man Ray l’aiuterà a superare.
Non stupisce che un tale personaggio femminile si presti a essere la materia di un biopic, con Kate Winslet nel ruolo di Lee Miller, in uscita quest’anno.
Lee Miller Man Ray Fashion, love, war - Palazzo Franchetti, Venezia, © Vincenzo Bruno
La mostra a Palazzo Franchetti
Grazie anche ai prestiti provenienti da Lee Miller Archives e Fondazione Marconi, la mostra consente di attraversare cronologicamente e tematicamente l’avventura artistica di Lee Miller.
Si parte dagli anni venti e dagli esordi nella moda grazie all’incontro con l’editore di Vogue, Condé Nast, e il famoso illustratore Georges Lepape che ritrae Lee per la copertina del magazine nel 1927. Una carriera che prosegue a Parigi testimoniata da scatti iconici. Le opere dell’inizio degli anni trenta documentano approfonditamente il rapporto professionale e personale con Man Ray insieme al milieu culturale di cui facevano parte attraverso i ritratti agli amici artisti: Max Ernst, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico, Jean Cocteau, Salvador Dalì, Dora Maar e Meret Oppenheim. In alcune foto di Man Ray, con un processo surrealista, le parti del corpo di Lee, gli occhi, la bocca, il torso, il collo vengono smontate e isolate, in altre la solarizzazione l’avvolge in un’aura quasi elettrica. Una selezione di immagini mostra la produzione, anche commerciale, dello studio newyorchese di Lee, il primo gestito da una donna, e fa da contrappunto il celebre metronomo “Perpetual Motif” di Man Ray a cui nel 1933 lui applica l’occhio dell’amata che lo ha abbandonato. Si ritrovano nel 1937 nelle vacanze con gli amici surrealisti tra la Cornovaglia e la Francia del Sud che Lee fisserà nei suoi scatti.
Una sezione è dedicata all’Egitto in cui lei si traferisce nel 1934 per il breve episodio matrimoniale con l’uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey. Di questo periodo è “Portrait of Space” in cui una zanzariera strappata si apre sull’orizzonte sconfinato del deserto che si ritrova nei paesaggi onirici dipinti da Yves Tanguy. Da qui un nuovo matrimonio con il pittore Roland Penrose e il trasferimento a Londra dove sarà fotografa per Vogue UK.
Sempre per Vogue sono le foto come inviata di guerra che testimoniano eventi storici come il Blitz di Londra, la liberazione di Parigi e i campi di concentramento di Buchenwald e Dachau, mentre dal 1944 viene accreditata come corrispondente dell'esercito americano e collabora con il fotografo di “Time Life”, David E. Scherman. È lui a scattare Lee nella vasca da bagno di Hitler, ma è lei che compone l’inquadratura con la foto del Führer sullo sfondo e mettendo in primo piano i suoi stivali sporchi del fango di Dachau sull’immacolato tappetino bianco.
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