Banche e Fintech, le 12 regole della coopetition
di Mattia, Schieppati
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1 Marzo 2016
Uno studio di McKinsey evidenzia i 6 punti di forza delle start-up nel business bancario ed assicurativo e i 6 imperativi digitali che le banche devono conoscere se vogliono continuare a essere competitive …
La prima cosa che le banche devono fare? «Filtrare tutto il “rumore di fondo” che si è creato intorno al tema delle start-up fintech e valutare, in maniera razionale, come la situazione che si presenta nei termini della “competition” può diventare un percorso di “coopetition”, di collaborazione competitiva». Il consiglio, ampiamente documentato (
clicca qui per leggere l'articolo), viene da un pool di economisti e analisti di McKinsey (Miklos Dietz, Vancouver; Somesh Khanna, New York; Tunde Olanrewaju, London; Kausik Rajgopal, Silicon Valley) che hanno preso di petto uno dei temi più caldi per l’industry bancaria: la rivoluzione che nuove imprese ad alto contenuto tecnologico (dalle piccole start-up ai giganti come Google e Apple sbarcati nel mondo dei pagamenti) stanno portando nel campo finanziario e assicurativo da secoli presidiato dalle banche “tradizionali”. Due mondi che – osservano gli analisti – non necessariamente devono considerarsi in competizione.
L’approfondimento parte da una considerazione. Quello bancario è da sempre, fin dall’XI secolo, uno dei mondi economici più refrattari (e resistenti) alla disruption, ovvero al cambiamento delle regole e degli scenari. Nessun’altra formula, in quasi mille anni, è riuscita a superare i fondamentali che garantiscono alle banche il loro vantaggio competitivo:
la presenza su territorio che significa rapporto di fiducia con i clienti,
la possibilità di garantire credito per far crescere l’economia,
la sicurezza nella custodia dei capitali.
In aggiunta a ciò, quella che in McKinsey chiamano la “consumers inertia”, ovvero la pigrizia con cui i consumatori affrontano le questioni di finanza personale e il timore verso i cambiamenti. Un elemento psicologico che fino a oggi ha giocato a favore dell’altrettanto diffusa “pigrizia” delle banche nel rinnovarsi e perseguire nuove strade.
«Tanti indicatori però ci dicono che oggi le cose stanno cambiando», dicono gli analisti. «Ad aprile 2015 un censimento globale indicava l’attività di 800 start-up fintech; al 31 dicembre 2015 il loro numero era già salito a 2.000. Non solo: a livello mondiale, venture capital e fondi di equity hanno investito complessivamente 23 miliardi di dollari nello sviluppo di realtà start-up in questo settore, 12,2 miliardi solo nel 2014 (vedi grafico 1). È evidente che qualcosa sta succedendo». In particolare, «sono 5 gli ambiti di business nei quali le banche retail rischiano di perdere, da qui al 2025, dal 10 al 40% del proprio fatturato a favore delle new entry fintech: gestione delle finanze personali, mutui, prestiti alle piccole imprese, pagamenti al dettaglio, wealth management».
Grafico 1 – Gli investimenti in Fintech nel mondo
Grafico 2 – Le attività “core” delle Fintech
McKinsey indica i 6 elementi che giocano a vantaggio dei nuovi player fintech e i 6 “imperativi digitali” che le banche tradizionali devono assolvere per non soccombere in questa competizione.
I 6 punti di forza delle start-up fintech
1. Elaborazione di modalità nuove e privilegiate di acquisizione dei clienti (attraverso anche l’uso intelligente dei nuovi canali digitali).
2. Riduzione del costo dei servizi, grazie alla diminuzione del rapporto costo-contatto (per esempio: anche solo l’aver bypassato la necessità di sedi fisiche sul territorio consente un minor “ricarico” di costi sul cliente).
3. Uso innovativo e mirato dei Big data, orientato al “servizio predittivo”, anticipando cioè le necessità dei clienti e facendo proposte mirate sui bisogni prossimi.
4. Specializzazione in segmenti specifici. In particolare, le start-up fintech guardano a tre tipi di “popolazioni”: i Millenials, il piccolo commercio i non bancarizzati.
5. Capacità di sfruttare infrastrutture già esistenti. Le start-up fintech sono partite in anticipo nel tentativo di sfruttare i vantaggi della coopetition, anziché innescare la competizione. L’alleanza con banche tradizionali nel fornire servizi che le banche ancora non coprivano ha permesso loro di crescere e affermarsi.
6. Gestione del rischio e rapporto con gli enti di regolamentazione. Per McKinsey questo è un punto di potenziale debolezza per i newcomers: «fino ad oggi molte di queste realtà hanno volato molto al di sotto dei radar regolatori», dicono: «quando dovranno attenersi a norme e regole sempre più stringenti, il loro modello di business reggerà?».
I 6 imperativi digitali per le banche tradizionali
1. Uso dei dati a disposizione e analisi in maniera olistica, costruendo un ecosistema di dati su ogni cliente, non strettamente legato alle sue necessità bancarie.
2. Creazione di strumenti di Customer experience funzionali ed accattivanti e abbandono del modello di comunicazione “one-size-fits-all”.
3. Sviluppo al proprio interno di professionalità sul digital marketing che prendano spunto dei giganti dall’e-commerce.
4. Abbattimento del costo-contatto attraverso una semplificazione radicale delle procedure, razionalizzazione e digitalizzazione dei processi.
5. Investimenti per l’acquisizione delle più evolute tecnologie e implementazione di queste ultime nei propri processi, dal mobile al cloud.
6. Ripensamento delle strutture organizzative esistenti e distribuzione dei poteri decisionali in un’ottica “digital oriented”.
Grafico 3 – I driven “digital oriented” per le banche